lunedì 29 maggio 2017

RIORDINO DEL BLOG E NUOVE AMICIZIE

Buongiorno a tutti

Come i miei pochi ma affezionati lettori avranno notato, Homo Sum si è un po' rifatto il look: con l'aumento del numero dei tag ho preferito disporli a "nuvola", per non costringere il lettore a consumare la rotellina del mouse per sfogliarli da cima a fondo. In più, ho aggiunto un nuovo amico: il sito tuttostoria.net, che si occupa di episodi storici interessantissimi e anche poco noti, soprattutto per chi la storia l'ha studiata solo sui libri di scuola.


In bocca al lupo dunque a Tuttostoria e al suo gestore Paolo Gerolla!!

venerdì 26 maggio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 3

Clicca qui per leggere la parte 2

1952: sessant'anni dopo la nascita dei primi sospetti sulla nocività dell'amianto, il velo di omertà sull'argomento iniziò ad assottigliarsi, ad opera del dott. Knox. Costui, assistendo ad un convegno del famigerato laboratorio Saranac (quello delle ricerche "vendute" alle aziende dell'amianto), intuì che c'era molto di più da sapere rispetto a quanto si raccontava ufficialmente, e così chiese aiuto all'epidemiologo Richard Doll.

Doll condusse una ricerca presso lo stabilimento Turner&Newall di Rochdale (dove aveva lavorato e si era ammalata Nellie Kershaw, e dove lavorava anche Knox). Nel 1955 Doll completò il lavoro stabilendo senza ombra di dubbio la connessione tra amianto e mesotelioma, ma la Turner&Newall si oppose fermamente alla pubblicazione. L'unico modo per aggirare l'ostacolo fu quello di omettere la firma di Knox, il cui nome comparve indirettamente nei ringraziamenti.

Nel frattempo, si erano aperti altri fronti: negli anni 40 in Sudafrica, un medico che lavorava nei pressi di una miniera di amianto blu (una particolare varietà del minerale) notò un insolito proliferare del mesotelioma tra i suoi pazienti, e decise di sottoporre il caso ad alcuni epidemiologi. Il quadro che ne emerse fu terrificante: i casi di mesotelioma e asbestosi non riguardavano soltanto i minatori, ma anche estranei, magari persone che abitavano nei pressi, o che avevano giocato da bambini tra gli scarti della miniera.

Questo studio, uscito nel 1960, diede l'impulso ad altri medici per compiere ulteriori ricerche: nel 1964 il dr. Selikoff presentò un lavoro in un convegno all'Accademia delle Scienze di New York, in cui emergeva la presenza del mesotelioma non solo nei lavoratori dell'industria dell'amianto, ma anche in persone che poco o nulla avevano a che fare con tale ambito. Questa circostanza fu confermata da un'indagine del londinese Newhouse, in cui emerse che, dei casi esaminati, circa la metà riguardava persone estranee all'industria dell'amianto, ma quasi tutti avevano convissuto con un lavoratore di quest'industria, o abitavano a poca distanza da uno stabilimento. Da qui, iniziò a circolare l'ipotesi che le fibre di asbesto fossero pericolose anche a basse concentrazioni.

Tornando al dr. Selikoff, come prevedibile, il suo lavoro incontrò l'ostilità e l'ostracismo dei colossi dell'amianto, che fecero di tutto per difendersi, sia cercando di corromperlo (senza riuscirci), sia organizzando campagne di propaganda e contro-informazione per contrastare la diffidenza crescente verso il materiale. Essi sottolinearono che l'amianto aveva risolto molti problemi della vita quotidiana, e che questi benefici superavano di gran lunga i presunti rischi. Non mancarono nemmeno le pressioni a livello politico, al fine di impedire che venissero varati regolamenti restrittivi, tali da pregiudicare i profitti delle industrie.

Tuttavia, i loro sforzi ebbero effetto sempre minore: nel 1969 l'Inghilterra e l'Australia vietarono l'utilizzo dell'amianto blu, mentre le ricerche compiute nel corso degli anni si diffondevano sempre più a livello europeo. Nel 1977, l'amianto fu etichettato come "cancerogeno certo" dall'Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro di Lione. Nonostante questo, la lotta dei colossi dell'amianto contro quella che ormai era una verità acclarata durò ancora a lungo.

giovedì 18 maggio 2017

MOBY DICK 2.0

Al momento non c'è nulla di ufficiale, di confermato. "Solo" una preoccupante serie di coincidenze, che a volte mi fanno chiedere dove accidenti andremo a finire; e no, non sono in preda ad una precoce crisi di senilità.



Sopra: un'illustrazione raffigurante Moby Dick. Sotto, una balenottera azzurra (fonte: Wikipedia)
Lo spauracchio stavolta ha le sembianze di una balena, come Moby Dick. Solo che questa è azzurra anziché bianca, ed è "solo" virtuale, ma non per questo meno pericolosa. Le sue prede preferite, a quanto pare, sono gli adolescenti.

Già, l'adolescenza. Età complicatissima già di per sé per genitori e figli, in cui il dialogo tra le parti è spesso messo a dura prova. Ancor di più se, come succede attualmente, ci si mettono di mezzo social networks, smartphones e tecnologia assortita. Ora, dalla fredda Russia, si è materializzato un nuovo, inquietante spettro, chiamato "Blue Whale Challenge". Letteralmente, "sfida della balenottera azzurra". Un misterioso "gioco" nato su VKontakte, una sorta di Facebook russo.

Questa "sfida" consisterebbe nel completare 50 "compiti", magari un tantino strani come svegliarsi nel cuore della notte a guardare un film horror. La parte drammatica, però, starebbe in alcune "missioni" che prevederebbero atti di autolesionismo, fino alla sfida finale che consisterebbe nel trovare l'edificio più alto della città, salire in cima e suicidarsi buttandosi di sotto. Il tutto sarebbe orchestrato da misteriosi personaggi chiamati "curatori", che recluterebbero le loro giovani vittime sui social networks, ed esigerebbero da loro prove tangibili di aver compiuto le missioni.

L'allarme è stato lanciato dal giornale russo "Novaja Gazeta" nel 2016, secondo cui il "Blue Whale Challenge" sarebbe alla base di numerosi suicidi di giovanissimi, si è parlato addirittura di più di 150 vittime nella sola Russia. E' molto difficile stabilire quanto ci sia di vero in questo dato, perché i contatti tra curatori e vittime avverrebbero nel più assoluto riserbo dei gruppi segreti creati allo scopo.

La notizia è stata rilanciata in Italia da giornali come Leggo, Il Messaggero e Il Fatto Quotidiano con toni allarmistici, mentre Le Iene recentemente hanno dedicato un servizio a questa nuova, presunta "moda". Nel servizio si è parlato, tra l'altro, del suicidio di un ragazzo di Livorno, che potrebbe essere collegabile a "Blue Whale". 

Fino a qua siamo nel campo del condizionale, del "se", del "potrebbe", del "forse". I siti anti-bufala di mezzo mondo hanno analizzato e cercato di ridimensionare la portata del fenomeno, bollandolo anche come fake news; c'è anche chi, in vena di complottismo, ha ipotizzato che "Blue Whale" sia un piano organizzato dai nazionalisti ucraini per traviare e sterminare la gioventù russa. in Italia, anche il Corriere della Sera ne ha parlato con toni molto scettici.

Intanto, un certo Filipp Budeikin, 22enne ex studente di psicologia, sarebbe stato arrestato nel 2016 per aver istigato al suicidio 15 ragazze. Stando a quanto si apprende dalla Russia, Budeikin si sarebbe dichiarato colpevole, dicendo anche di aver indotto le sue vittime a suicidarsi per "purificare la società dai parassiti, e impedir loro di danneggiare sé stessi e gli altri". Un vero manipolatore, insomma, che avrebbe sfruttato la fragilità delle sue vittime fino alle estreme conseguenze.

In attesa di capire la portata reale del fenomeno "Blue Whale Challenge", non resta che stare in guardia...


martedì 16 maggio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 2

Clicca qui per leggere la prima parte

Nella prima parte abbiamo visto l'ascesa dell'amianto in campo industriale e civile, e i primi problemi che essa ha comportato per la salute dei lavoratori: il caso di Nellie Kershaw rappresenta un esempio emblematico di ricerca esasperata del profitto e di negazione ad ogni costo della pericolosità di questo materiale, fino alla resa davanti all'evidenza clinica. Le particelle di amianto non erano certo finite da sole nei polmoni di Nellie e degli altri lavoratori che presentavano identici sintomi, per cui questa vicenda portò al varo sul suolo britannico di un primo regolamento a tutela dei lavoratori stessi. Fu un traguardo terribilmente faticoso da raggiungere: i primi sospetti sulla nocività dell'amianto erano emersi già molti anni prima del caso Kershaw, ma insabbiamenti, interessi economici e negligenze assortite rallentarono in maniera drammatica la ricerca della verità.

Ora, questa vicenda avrebbe dovuto, in teoria, essere di esempio: pur essendo un materiale estremamente utile e versatile, l'amianto andava trattato con cautela. Magari, visto l'inciampo causato dalla scoperta dell'asbestosi, sarebbe valsa la pena condurre studi più approfonditi. Cosa che, udite udite, fu fatta...nella Germania nazista.

Ebbene sì. Gli scienziati del Terzo Reich si erano insospettiti per via della proliferazione, tra i lavoratori dell'amianto, di un tipo di tumore particolarmente raro ed aggressivo: il mesotelioma. Certo, il lunghissimo periodo che può trascorrere tra l'esposizione alle fibre nocive e l'insorgenza della malattia non aiutò la comprensione del problema, né, all'epoca, era disponibile un sistema rapido ed efficace di elaborazione dei dati (il computer e Internet sarebbero venuti molti anni dopo). Eppure, già nel 1937, erano riusciti a stabilire con certezza la correlazione tra amianto e mesotelioma e, nel 1943, il governo tedesco approvò il riconoscimento di un indennizzo per malattia professionale ai lavoratori malati. La guerra in corso, e tutte le sue conseguenze, fece sì che questa ricerca perdesse di credibilità e cadesse nell'oblio per molti anni.

Pare assurdo dirlo, ma nel caso dell'amianto e delle malattie ad esso correlate, il regime hitleriano tenne un comportamento esemplare (ovviamente solo verso alcune categorie di persone: gli internati venivano mandati a lavorare nelle fabbriche di amianto senza troppi problemi). A differenza di altri governi: negli Stati Uniti, furono condotti studi che conducevano alle medesime conclusioni a cui erano arrivati tedeschi e inglesi, ma purtroppo il loro scopo era ben diverso, a causa principalmente di chi li svolse per primo: il dott. Anthony Joseph Lanza. 
Costui, dopo aver lavorato per il servizio di salute pubblica ed essersi fatto le ossa tra i malati di tubercolosi e i problemi derivanti dall'inalazione delle polveri, passò alle dipendenze della Metropolitan Life Insurance Company, il cui scopo era quello di offrire assistenza medico-legale ad imprese ed assicurazioni. 
Nel 1929, fu incaricato dai suoi datori di lavoro (per conto delle principali industrie dell'amianto) di scoprire se la fantomatica asbestosi esistesse veramente. Lo scopo del suo studio però non era tanto quello di tutelare la salute dei lavoratori, bensì aiutare le imprese a mettersi al riparo da eventuali azioni legali. Il tutto alla faccia della sua etica di medico, e in nome del profitto.
La pubblicazione del suo lavoro, avvenuta nel 1931, subì fortissimi condizionamenti da parte delle industrie clienti, che fecero in modo di edulcorare le conclusioni di Lanza, evitando la pubblicazione degli allarmanti dati emersi.

Finita qui? Macché. Nel 1932, Lanza proseguì la sua opera di anima nera richiedendo ad un collega dell'US Bureau of Mines di eseguire radiografie su alcuni lavoratori dell'amianto, pregandolo però di tenerne riservati gli esiti. L'anno successivo, il medico del Bureau of Mines, probabilmente in crisi di coscienza, chiese a Lanza se non fosse il caso di avvertire i lavoratori, in modo che potessero tenere comportamenti atti a diminuire il rischio. Quest'ultimo, anche alla luce del suo ruolo tutto a favore delle aziende produttrici, rispose negativamente.

Dulcis in fundo, la ditta Johns-Manville (una delle committenti dello studio pubblicato nel 31) decise di eseguire controlli periodici sulle concentrazioni di polveri d'amianto nel suo stabilimento, sempre per ripararsi dalle azioni legali, che si facevano via via più numerose. Lanza, sempre lui, raccomandò il laboratorio Saranac di New York per eseguire questi controlli. Lo studio, foraggiato anche da altre aziende, era però vincolato da un contratto di proprietà: in pratica, tutti i suoi risultati e conclusioni diventavano di esclusiva proprietà delle aziende committenti, le quali potevano disporne come meglio credevano. Incluso, naturalmente, il diritto di censura totale o parziale su un'eventuale pubblicazione.

Un'omertà degna delle peggiori organizzazioni mafiose.

Nel 1952, finalmente, il muro di silenzio cominciò a scricchiolare, ad opera dei dott. Knox e Doll...

martedì 9 maggio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 1

Quante volte, nella nostra vita, facciamo scelte che si rivelano sbagliate a posteriori?

Magari diamo fiducia ad una persona, ci fidiamo, ci confidiamo...ed essa ci ricambia nel peggiore dei modi.

Ecco, non accade solo con le persone, ma anche con la scienza e con la tecnica: abbiamo fatto una scoperta importante, è uscita una tecnologia nuova che ci ha cambiato la vita, tutti ci hanno guadagnato, dai produttori ai consumatori, e poi...

E poi ci sbatti la faccia nel peggiore dei modi, perché si scopre che ci sono dei problemi. Magari irrisolvibili. Magari chi guadagna da questa innovazione lo sa, e non te lo dice per anni; e magari le conseguenze sono letali...

Come nel caso dell'amianto.

Alla fine dell'800, la scoperta dei possibili impieghi di questo materiale, molto comune in natura nelle sue varie forme, equivalse alla scoperta del Sacro Graal: è fonoassorbente, ha una buona resistenza a trazione, resiste al fuoco ed al calore, isola dall'elettricità...insomma, non un materiale qualsiasi da costruzione, ma IL materiale da costruzione per eccellenza. Non solo: esso ebbe una fortuna enorme in campo industriale, trovando applicazione nei filtri delle maschere antigas, nel processo di filtrazione del vino, nelle stazioni di saldatura (come isolante termico), negli impianti frenanti, nelle tute anti-fuoco dei pompieri...e in moltissimi altri casi. Ci si può quasi azzardare a dire che la scoperta dei possibili impieghi dell'amianto equivale, da sola, ad una mezza rivoluzione industriale.

Solo che...

Solo che, come spesso accade, un progresso così marcato e sconvolgente ha un prezzo da pagare. Nel caso dell'amianto il conto si è rivelato salatissimo, e a tutt'oggi non sappiamo ancora a quanto ammonti e quando finiremo di pagarlo.

Che le fibre di questo materiale siano pericolose lo si sa da molto tempo: il primo caso documentato di malattia professionale da esposizione risale al 1924, quando Nellie Kershaw, operaia presso la Turner Brothers Asbestos di Manchester, morì un anno e mezzo dopo essere stata dichiarata malata ed inabile al lavoro dal dr. Walter Joss, a causa di un'intossicazione da amianto. Per tutto questo periodo, la povera Nellie smosse mari e monti per ottenere un indennizzo dai suoi titolari, ma essi rifiutarono di riconoscerle alcunché, negando a priori la pericolosità del materiale, ed attaccandosi al fatto che, all'epoca, tale presunta pericolosità non era stata certificata da alcuno studio. La loro meschinità fu tale che rifiutarono persino di contribuire alle spese per il suo funerale, con la scusa di "non creare un precedente pericoloso". Tuttavia, la diagnosi del dr. Joss ebbe il merito di smuovere le acque: il coroner E. N. Molesworth fu, di fatto, obbligato ad aprire un'inchiesta per "morte sospetta". L'autopsia, condotta dal dr. Mackichan, inizialmente attribuì la morte di Nellie a "tubercolosi e collasso cardiaco", ma l'analisi al microscopio dei polmoni diede la svolta: l'esame, condotto dal dr. Cooke, evidenziò "vecchie cicatrici dovute ad una tubercolosi curata" e, in più, una vasta fibrosi, in cui erano visibili "particelle di natura minerale di varie forme, ma quasi tutte con angoli appuntiti". Il confronto con alcuni campioni di polvere fece definitivamente luce sul caso: erano particelle di amianto, che avevano causato la fibrosi polmonare, e quindi la morte, di Nellie Kershaw.


Nellie Kershaw (1891-1924), prima vittima riconosciuta dell'asbestosi (immagine tratta da en.wikipedia.org)
Interrogato in merito, il dr. Joss riferì di vedere 10-12 casi simili all'anno, tutti in lavoratori esposti a polveri di amianto. Nel 1927 il dr. Cooke, pubblicando il caso di Nellie, coniò il termine "asbestosi polmonare".
In seguito al caso Kershaw, il parlamento inglese non stette con le mani in mano, ed aprì un'indagine, il cui risultato stabilì che il 66% degli operai esposti all'amianto per 20 anni o più avevano sviluppato l'asbestosi. Da qui si procedette all'emanazione di un primo regolamento per l'industria dell'amianto, che ebbe effetto sul suolo britannico a partire dal 1 marzo 1932.

Il peggio, però, doveva ancora arrivare...


venerdì 5 maggio 2017

UNA STORIA DI ORDINARIA DISUMANITA'

Speravo, davvero, che fosse una bufala. Anche perché la prima volta che l'ho letta, non veniva da una fonte propriamente affidabile. Per cui, nel mio piccolo, vai di fact-checking: una ricerca rapida su Google, nella speranza di trovare una smentita...che non c'era.

A quanto pare, è tutto vero.

L'umanità, intesa come empatia e capacità di abbinare testa e cuore nelle decisioni, se ne sta bellamente andando a farsi fottere. Scusate il linguaggio, ma di fronte ad un fatto del genere, sono stato ancora gentile.

Cosa succede?

Succede che c'è una mamma, Daniela Musso, originaria di Ribera (Agrigento), che si è dovuta trasferire al nord col marito in cerca di lavoro. Purtroppo, il sospirato impiego non arriva subito. In compenso arrivano i servizi sociali, prendono i due figli piccoli della coppia, e li mettono in una comunità protetta. 

Già qui è un'assurdità: smembrare una famiglia in difficoltà non è esattamente il miglior modo di aiutarla, soprattutto dal punto di vista dei più piccoli, che si vedono sradicati da un giorno all'altro dal loro contesto abituale. Una toppa riesce a mettercela mamma Daniela che, dopo una battaglia legale, ottiene di poter stare con loro. E' già qualcosa, anche se la situazione continua ad essere anormale: già una famiglia è in difficoltà per mancanza di lavoro (che, ricordiamolo, è un DIRITTO sancito dalla nostra COSTITUZIONE), in più ci si trova ad affrontare un distacco forzato, a cui si deve porre parzialmente rimedio affrontando ulteriori difficoltà e spese.

Pensate che sia finita? Magari...

Mamma Daniela si ammala di cancro. La malattia progredisce, fino ad arrivare allo stadio terminale.

Si dice che l'unione faccia la forza e questo, nel caso di una famiglia in cui ci si vuole bene, non è solo vero, è SACROSANTO. Un destino amaro, per quanto ineluttabile sia, è più sopportabile se si è uniti. Questo però pare sfuggire al Tribunale dei minori, che non solo ha ridotto drasticamente le possibilità di Daniela di vedere i suoi bambini da quando si è ammalata, ma addirittura ha dichiarato ADOTTABILE il più piccolo, mentre il più grande, al momento, è destinato a rimanere in comunità. Il tutto perché Daniela non sarebbe in grado di fare la mamma, in quanto "ritardata mentale", mentre il padre sarebbe "assente ed anaffettivo". Questo si legge sul provvedimento del tribunale.

Cosa fare a questo punto, oltre a continuare la battaglia a colpi di carte bollate (con ulteriori spese e sofferenze)?

Ad esempio, si può cercare di far conoscere a tutti questa storia, fare più rumore possibile...ed è proprio quello che, nel mio piccolo, ho cercato di fare scrivendo questo pezzo. Cliccando sul link sottostante, potrete sentire da Daniela stessa il racconto del calvario che sta passando. Cliccate, guardate e condividete questo video per favore:


Di seguito trovate alcuni link in cui viene raccontata la storia di mamma Daniela, e che sono serviti per la stesura di questo pezzo:


Alla prossima!!










martedì 2 maggio 2017

LA GIORNATA MONDIALE DEI BLOGGERS

Buongiorno a tutti!!

Qualche giorno fa, ho sentito casualmente per radio che oggi, 2 maggio, è la giornata mondiale dei bloggers. Nel mio piccolo, da neofita di questo mondo, mi fa piacere che ci sia una giornata dedicata anche alle 2 parole che scrivo ogni tanto su questo spazio virtuale. Nella speranza che questo angolino di web cresca sempre di più: al momento è sotto il livello di Fabrizio Daiquiri, se non sapete chi è, chiedete al programma Ciao Belli di Radio DeeJay. 

Tornando alla giornata odierna, è un po' come il Natale o la Pasqua: come arrivano per buoni e cattivi, così in questa giornata si pensa un po' a tutti, perfino a quei blog nati unicamente per fare clic-baiting, magari fomentando odio, diffondendo notizie false (le famigerate "fake news"), e quindi giustificando, in un certo senso, chi vuole mettere il bavaglio al mondo dei blog con leggi apposite. Allora, visto che esiste il luogo comune che a Natale siamo tutti più buoni, in questa sorta di Natale dei bloggers auguro davvero a questa SPAZZATURA della rete di redimersi, e smetterla di fare soldi sulla pelle dei boccaloni che danno loro retta. Lo so, è una pia illusione, ma fa il paio con la nostra bontà a Natale.

Tuttavia, data la ricorrenza, mi sembra giusto rivolgere un pensiero anche a chi, molto più scafato ed esposto di me, rischia tantissimo a livello personale per raccontare ciò che vede, o semplicemente per esporre la propria idea. Penso ad esempio alle nazioni in cui la libertà di stampa e di opinione già adesso è molto limitata, o ai bloggers messicani che arrivano dove le fonti ufficiali non si arrischiano ad andare, per raccontare il mondo dei cartelli della droga. Spesso, a rischio della loro stessa vita. Per quello che vale, avete la mia infinita stima.

Alla prossima!!

lunedì 1 maggio 2017

I TRE GIORNI PIU' LUNGHI

Tre giorni. Tanto è bastato per cambiare per sempre il mondo della Formula 1, riportando improvvisamente sulla terra persone ed organizzazioni che si ritenevano invincibili e si cullavano nell'illusione che nulla di grave potesse più succedere. Erano passati molti anni ormai dalle tragedie di Gilles Villeneuve, di Riccardo Paletti (1982) e di Elio de Angelis (1986), la tecnica aveva fatto passi da gigante, qualcuno si azzardò persino a dire "Con queste macchine, più sicure di così, si muore", mentre qualcun altro, Ayrton Senna, aveva mostrato preoccupazione all'inizio della stagione 1994 dicendo esplicitamente che, con quelle macchine, sarebbe stata una gran fortuna se nessuno si fosse fatto male durante la stagione. Quali erano dunque le reali premesse del campionato di Formula 1 del 1994?

Facciamo un passo indietro: nel periodo 1984-1993, il titolo piloti era stato una questione privata tra Williams e McLaren, mentre squadre storiche come Ferrari, Tyrrel, Brabham, Lotus e Ligier erano in grave crisi. In più, l'elettronica era entrata in maniera prepotente negli abitacoli delle auto tanto che, se non fosse stato per normalissimi problemi di gioventù e affidabilità del sistema sulla sua Williams, Nigel Mansell sarebbe già stato campione del mondo nel 1991, al posto di Senna. La Lotus, proprio grazie a Senna che le aveva imposte e pretese, aveva sviluppato le "sospensioni attive", un sistema intelligente che consentiva di controllare l'altezza da terra dell'automobile in ogni momento durante la corsa. Per i profani, questo significa una maggiore stabilità e controllabilità, il che ad alte velocità non guasta. Solo che, in caso di avaria, erano guai: la macchina strisciava per terra, e se questo succedeva ai 300 all'ora, si rischiava grosso. Chiedere ad esempio ad Alex Zanardi, che da un secondo all'altro si ritrovò più alto di 3 cm dopo un botto a Spa-Francorchamps nel 1993. 

Tutto questo fece sì che, per il 1994, l'elettronica a bordo delle vetture fosse praticamente azzerata per regolamento, ufficialmente per garantire maggiore spettacolo e restituire al pilota un ruolo predominante. Solo che nessuno aveva fatto i conti con i progettisti: tutti infatti avevano disegnato le vetture per il 1994 prevedendo l'utilizzo dell'elettronica per cui, al cambio di regolamento, si limitarono a toglierla pedestremente, mandando in pista le macchine così com'erano, riadattandole per il minimo indispensabile. Da qui l'affermazione di Senna citata in precedenza: le vetture risultavano imprevedibili, scorbutiche, difficili da guidare e da portare al limite. In definitiva, poco sicure. Solo la Benetton del giovane Schumacher sembrava esente da questi problemi...ma questa è un'altra storia.

La stagione 1994 iniziava quindi con grandi incertezze dal punto di vista tecnico, e anche le avvisaglie sulla sicurezza non erano delle migliori: il ferrarista Alesi si era infortunato gravemente durante un test privato, così come JJ Lehto, compagno di squadra di Schumacher. Si proseguì come se nulla fosse, fino al GP di San Marino, che cambierà per sempre la storia della Formula 1.
Il crescendo di incidenti, paura e dolore iniziò già al venerdì: la Jordan del giovane Rubens Barrichello decollò e si schiantò a tutta velocità contro le barriere della Variante Bassa, per colpa dell'esplosione di una gomma. Il brasiliano, incredibilmente, se la cavò con lesioni di pochissimo conto, anche se fu costretto a saltare la gara.

Questo però era solo l'inizio, perché durante le prove del sabato tutti, fans e addetti ai lavori, sbatterono la faccia contro lo scenario peggiore: Roland Ratzenberger, pilota pressoché sconosciuto con una lunghissima gavetta alle spalle, si schiantò con la sua Simtek ai 320 orari contro il muretto in cemento della curva Villeneuve. L'immagine della carcassa della vettura con un buco nella scocca, e la testa del pilota che ciondolava inerte dall'abitacolo fecero calare il gelo sull'autodromo di Imola. I soccorsi, tempestivi, furono inutili: Roland (come confermato anche dall'autopsia) era morto sul colpo, anche se per non fermare il Gran Premio fu messo in scena uno squallido teatrino per poter dichiarare il decesso all'arrivo in ospedale. Perché the show must go on, soprattutto se in ballo ci sono un bel po' di soldi. La domenica, l'epilogo noto a tutti: prima l'incidente alla partenza, con i detriti che feriscono gli spettatori, poi la Williams di Senna che va dritta alla curva del Tamburello, i soccorsi, e la morte quattro ore dopo in ospedale a Bologna per colpa di un incredibile scherzo del destino. Altri piloti si erano già schiantati in quel punto uscendone magari malconci ma vivi: un pezzo di sospensione, che trafisse il casco sopra l'occhio destro, diede il colpo fatale al campione brasiliano.

Dopo i fatti di Imola 94, la dirigenza della Formula 1 fu presa da un'isteria collettiva, facendo inserire varianti posticce nei vari circuiti ed imponendo modifiche alle vetture per limitarne potenza e velocità. Per la cronaca, questi provvedimenti non servirono un granché: anche se non ci furono più morti, la sequela di incidenti continuò per tutta la stagione. Il tutto nell'attesa di capire esattamente le cause della morte di Ratzenberger e Senna, cause che, nel caso del brasiliano, vennero fuori solo dopo omissioni e goffi tentativi di depistaggio, anche da parte dei suoi stessi colleghi e della Williams.

L'importanza di questi due piloti, a tanti anni di distanza dalla loro morte, la si vede dal ricordo che, tutti gli anni, si ravviva sui giornali e sul web. Senna, in particolare, è un punto di riferimento perfino per chi ha vissuto marginalmente i suoi successi per questioni anagrafiche, o non era neppure nato. Magico potere della rete, che fa rivivere per sempre le imprese del passato. Ayrton aveva anche i suoi lati oscuri, certo. Eppure, se è passato alla storia dello sport, è stato anche per il suo essere umano all'esasperazione, con i suoi pregi e difetti, che lo portarono e lo portano ad entrare nel cuore di chi vide, e rivede tuttora, le sue gesta.

VALEU SENNA!!!