martedì 16 maggio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 2

Clicca qui per leggere la prima parte

Nella prima parte abbiamo visto l'ascesa dell'amianto in campo industriale e civile, e i primi problemi che essa ha comportato per la salute dei lavoratori: il caso di Nellie Kershaw rappresenta un esempio emblematico di ricerca esasperata del profitto e di negazione ad ogni costo della pericolosità di questo materiale, fino alla resa davanti all'evidenza clinica. Le particelle di amianto non erano certo finite da sole nei polmoni di Nellie e degli altri lavoratori che presentavano identici sintomi, per cui questa vicenda portò al varo sul suolo britannico di un primo regolamento a tutela dei lavoratori stessi. Fu un traguardo terribilmente faticoso da raggiungere: i primi sospetti sulla nocività dell'amianto erano emersi già molti anni prima del caso Kershaw, ma insabbiamenti, interessi economici e negligenze assortite rallentarono in maniera drammatica la ricerca della verità.

Ora, questa vicenda avrebbe dovuto, in teoria, essere di esempio: pur essendo un materiale estremamente utile e versatile, l'amianto andava trattato con cautela. Magari, visto l'inciampo causato dalla scoperta dell'asbestosi, sarebbe valsa la pena condurre studi più approfonditi. Cosa che, udite udite, fu fatta...nella Germania nazista.

Ebbene sì. Gli scienziati del Terzo Reich si erano insospettiti per via della proliferazione, tra i lavoratori dell'amianto, di un tipo di tumore particolarmente raro ed aggressivo: il mesotelioma. Certo, il lunghissimo periodo che può trascorrere tra l'esposizione alle fibre nocive e l'insorgenza della malattia non aiutò la comprensione del problema, né, all'epoca, era disponibile un sistema rapido ed efficace di elaborazione dei dati (il computer e Internet sarebbero venuti molti anni dopo). Eppure, già nel 1937, erano riusciti a stabilire con certezza la correlazione tra amianto e mesotelioma e, nel 1943, il governo tedesco approvò il riconoscimento di un indennizzo per malattia professionale ai lavoratori malati. La guerra in corso, e tutte le sue conseguenze, fece sì che questa ricerca perdesse di credibilità e cadesse nell'oblio per molti anni.

Pare assurdo dirlo, ma nel caso dell'amianto e delle malattie ad esso correlate, il regime hitleriano tenne un comportamento esemplare (ovviamente solo verso alcune categorie di persone: gli internati venivano mandati a lavorare nelle fabbriche di amianto senza troppi problemi). A differenza di altri governi: negli Stati Uniti, furono condotti studi che conducevano alle medesime conclusioni a cui erano arrivati tedeschi e inglesi, ma purtroppo il loro scopo era ben diverso, a causa principalmente di chi li svolse per primo: il dott. Anthony Joseph Lanza. 
Costui, dopo aver lavorato per il servizio di salute pubblica ed essersi fatto le ossa tra i malati di tubercolosi e i problemi derivanti dall'inalazione delle polveri, passò alle dipendenze della Metropolitan Life Insurance Company, il cui scopo era quello di offrire assistenza medico-legale ad imprese ed assicurazioni. 
Nel 1929, fu incaricato dai suoi datori di lavoro (per conto delle principali industrie dell'amianto) di scoprire se la fantomatica asbestosi esistesse veramente. Lo scopo del suo studio però non era tanto quello di tutelare la salute dei lavoratori, bensì aiutare le imprese a mettersi al riparo da eventuali azioni legali. Il tutto alla faccia della sua etica di medico, e in nome del profitto.
La pubblicazione del suo lavoro, avvenuta nel 1931, subì fortissimi condizionamenti da parte delle industrie clienti, che fecero in modo di edulcorare le conclusioni di Lanza, evitando la pubblicazione degli allarmanti dati emersi.

Finita qui? Macché. Nel 1932, Lanza proseguì la sua opera di anima nera richiedendo ad un collega dell'US Bureau of Mines di eseguire radiografie su alcuni lavoratori dell'amianto, pregandolo però di tenerne riservati gli esiti. L'anno successivo, il medico del Bureau of Mines, probabilmente in crisi di coscienza, chiese a Lanza se non fosse il caso di avvertire i lavoratori, in modo che potessero tenere comportamenti atti a diminuire il rischio. Quest'ultimo, anche alla luce del suo ruolo tutto a favore delle aziende produttrici, rispose negativamente.

Dulcis in fundo, la ditta Johns-Manville (una delle committenti dello studio pubblicato nel 31) decise di eseguire controlli periodici sulle concentrazioni di polveri d'amianto nel suo stabilimento, sempre per ripararsi dalle azioni legali, che si facevano via via più numerose. Lanza, sempre lui, raccomandò il laboratorio Saranac di New York per eseguire questi controlli. Lo studio, foraggiato anche da altre aziende, era però vincolato da un contratto di proprietà: in pratica, tutti i suoi risultati e conclusioni diventavano di esclusiva proprietà delle aziende committenti, le quali potevano disporne come meglio credevano. Incluso, naturalmente, il diritto di censura totale o parziale su un'eventuale pubblicazione.

Un'omertà degna delle peggiori organizzazioni mafiose.

Nel 1952, finalmente, il muro di silenzio cominciò a scricchiolare, ad opera dei dott. Knox e Doll...

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