lunedì 24 luglio 2017

SONO TORNATI...PIU' IN FORMA CHE MAI!!

E' successo tutto molto rapidamente: accendo la TV su una nota trasmissione della domenica sera, e mi vedo davanti la faccia sorridente dello scrittore Daniel Pennac. Ora, chi mi conosce sa che non sono assolutamente un tipo da televisione, ma un'intervista ad uno dei miei autori preferiti quando mi ricapita? Per cui mi metto comodo e, man mano che il programma va avanti, noto proiettate alle pareti delle illustrazioni che conosco molto bene: sono le copertine dei libri della saga dei Malaussène, sicuramente il più grande successo della carriera di Pennac.

Alt, stop, facciamo qualche passo indietro: CHI SONO, i Malaussène?

Beh, è giusto fare un minimo di presentazioni per chi non li conosce: sono una delle famiglie più strampalate e scombinate mai concepite in letteratura. Più che una famiglia, una tribù: sette fratellastri e sorellastre, tutti nati dalla stessa mamma, ma da sette padri diversi ed ignoti. Senza contare i personaggi che gravitano a vario titolo attorno a casa Malaussène, un'ex ferramenta della periferia di Parigi. In tutto questo marasma, il compito di portare a casa la pagnotta spetta al figlio maggiore, Benjamin, che ha a carico quasi tutti i suoi fratelli e sorelle (la mamma è perennemente "in amore" e torna a casa, da sola, solo quando è incinta). Professione? Capro espiatorio, vale a dire pagato molto profumatamente per prendersi dei sonori cazziatoni e cercare di placare le ire di clienti insoddisfatti prima, di aspiranti scrittori frustrati poi...ma non voglio anticipare altro, se non che i sei romanzi della saga si svolgono in un'atmosfera stupendamente noir: Pennac ha saputo far convivere nelle sue opere attimi di struggente tenerezza con crimini violenti, aberranti e sanguinosissimi, ma anche con momenti di pura passione e situazioni che trascendono la realtà. Ovviamente Benjamin, capro espiatorio per vocazione oltre che per lavoro, ci finisce dentro fino al collo, nei fatti di sangue. Pur essendo assolutamente innocente.

La saga, iniziata nel 1985 con l'uscita in Francia de "Il paradiso degli orchi", onestamente sembrava aver esaurito la sua forza con "La passione secondo Thérèse" (1999): almeno a me (e credo non solo a me), l'ultimo libro è sembrato quasi un fanservice, tanto per accontentare i lettori più accaniti che non si rassegnavano all'uscita di scena della loro famiglia preferita. Quando finii di leggerlo pensai "stavolta è proprio finita, ma visto quest'ultimo libro forse è giusto così...grazie di tutto Malaussène, è stato bello conoscerti".

Fino, appunto, alla comparsa di Pennac sul mio televisore, che annunciava la ripresa della saga, con l'intrigante titolo "Il caso Malaussène-Mi hanno mentito". Inutile dire che mi sono fiondato in libreria, l'ho comprato, e quando l'ho finito (sarebbe più giusto dire DIVORATO) avevo un sorriso a 40 denti: la nuova generazione dei Malaussène si dimostra ampiamente all'altezza della precedente, e da lì in avanti...sono cavoli acidi per tutti. Ovviamente Benjamin, come al solito, ci andrà di mezzo suo malgrado...passano gli anni ma la vocazione da capro espiatorio è rimasta tale e quale.

Buona lettura!!!


mercoledì 19 luglio 2017

DR. JEKYLL E MR. HYDE: UNA STORIA UNIVERSALE E UNO SCRITTORE DIMENTICATO

Il tema letterario della doppia personalità ha sempre affascinato i lettori: il caso più famoso ed eclatante, anche solo per sentito dire, è sicuramente quello di Dr. Jekyll e Mr. Hyde, nato dalla penna di Robert Louis Stevenson (lo stesso de "L'isola del tesoro" e "La freccia nera", tra gli altri) e diventato l'esempio di doppiezza per eccellenza. Lo si può definire una specie di caricatura di ciascuno di noi: pur potendo essere integerrimi e perbene come Jekyll, tutti nascondiamo un Hyde pronto a saltar fuori e dare il peggio di sé. Ciascuno a suo modo, naturalmente.

Quello che pochi sanno, invece, è che questo tema è stato ripreso anche da un autore italiano rimasto sconosciuto ai più: Antonio Balbiani (1838-1889).

Originario di Bellano (CO) il Balbiani (esponente di un'antica ed illustre famiglia) affiancò all'attività di insegnante di lettere quella di scrittore e traduttore, occupandosi degli argomenti più vari, arrivando anche a scrivere di artigianato e agricoltura. Fino a pubblicare, nel 1871, il romanzo storico "Lasco, il bandito della Valsassina", che divenne in breve un vero "cult" tra gli abitanti del luogo: il libro ebbe nel tempo numerose ristampe, e ne fu scritto perfino un adattamento teatrale.


Ritratto di Antonio Balbiani (fonte: archivio Pietro Pensa)

Mi si dirà: dove sei andato a pescarlo?

Beh, il merito è di un birrificio locale, che ha deciso di dedicare due birre diverse alle due facce di questo personaggio: mecenate e signore benvoluto da tutti di giorno sotto il nome di Sigifredo Falsandri, spietato e sanguinario brigante di notte, in compagnia dei suoi "bravi". Il tutto ambientato intorno alla metà del XVII secolo, nella rocca di Marmoro (che taluni hanno identificato erroneamente con la rocca di Baiedo) e nei suoi dintorni. Nell'occasione il Balbiani non valorizzò solo il personaggio del Lasco, (creato da Amatore Mastalli di Cortenova), ma ebbe il merito di intrecciare le sue vicende con altre storie e leggende locali, con frequenti rimandi ai Promessi Sposi. Questo lavoro di raccolta fu completato in un'altra opera, "Como, il suo lago, le sue ville e le sue valli descritte e illustrate", pubblicata nel 1877 e che, al netto dei vari errori, rappresenta un pregevole documento di storia locale, risultato poi utile per la stesura di lavori successivi.


Frontespizio illustrato di una rara prima edizione di "Lasco, il bandito della Valsassina"
Purtroppo il successo del Balbiani si fermò qui: un altro suo romanzo "I figli di Lorenzo Tramaglino e Lucia Mondella", così come altre sue opere di stampo manzoniano, furono impietosamente stroncate da Giosuè Carducci, mentre la sua attività giornalistica nei dintorni del lago, pur essendo fervida ed innovativa per quei tempi (era un vero e proprio reporter d'assalto, che si recava di persona ovunque potesse esserci bisogno di lui), non ebbe la fortuna sperata, complice anche un periodo di crisi a livello locale.

Antonio Balbiani morì improvvisamente nella sua Bellano nel 1889. A suo ricordo, è stata murata una lapide all'esterno della sua casa natale mentre, nel borgo di Parlasco, sono stati realizzati molti dipinti murali, che hanno come tema proprio le vicende di Lasco e di altri personaggi leggendari del luogo.

Per chi lo desiderasse, a questo link è leggibile e scaricabile legalmente l'intera prima edizione del romanzo "Lasco il bandito della Valsassina", senza i rimaneggiamenti e le riduzioni che invece hanno caratterizzato le ristampe successive http://www.archive.org/stream/lascoilbanditode00balb#page/n3/mode/2up

Fonti:
Pagina dedicata sul sito dell'archivio Pietro Pensa

venerdì 14 luglio 2017

DELIRIO DI ONNIPOTENZA

Tempo fa, sull'onda del panico che aveva suscitato, avevo parlato del fenomeno (vero o presunto tale) del "blue whale challenge" (clicca qui per leggere). Il problema era emerso grazie alla trasmissione "Le Iene": in un servizio curato da Matteo Viviani si narrava di come in Russia (dove sarebbe nato) avesse assunto proporzioni allarmanti, con l'arresto del presunto ideatore Philipp Budeikin che sarebbe stato collegato a qualcosa come 130 casi di suicidio giovanile.



Quello che si è scoperto dopo un fact checking (procedura basilare per qualsiasi giornalista) ha raccontato qualcosa di molto diverso: i video russi su cui si basava il servizio di Viviani erano dei falsi clamorosi o, comunque, erano stati presentati per ciò che NON ERANO. Budeikin è collegato (forse) ad un solo caso di suicidio. Sempre troppo, ok, ma sull'opinione pubblica l'impatto di un singolo decesso è molto minore rispetto a quello di un fenomeno di massa, come pareva essere diventato.

Si, ok, mi si dirà, ma il caso del ragazzo di Livorno?

Quello purtroppo è realmente avvenuto...solo che, si è scoperto dopo, non era legato al "blue whale".

Intervistato da Selvaggia Lucarelli per "Il Fatto Quotidiano", Viviani ha ammesso l'errore (non ha controllato le fonti su cui ha basato l'intero servizio), ma si è difeso dicendo che comunque ha contribuito a far luce su un fenomeno molto pericoloso, reale, e che, se col suo lavoro di giornalista ha contribuito a salvare anche solo una vita umana, non ha niente da rimproverarsi.

Peccato che il sig.Viviani abbia tralasciato un dettaglio importante. Prima del servizio de "Le Iene", infatti, le ricerche su Google partite dall'Italia riguardo a "blue whale" erano vicine allo zero. Subito dopo guarda caso c'è stato un picco, nonché un'impennata di casi attribuiti a questo presunto gioco. Il che fa pensare ragionevolmente che siano frutto di emulazione, piuttosto che di qualcosa di realmente esistente e radicato. Per cui, il sig. Viviani ha realmente fatto un buon lavoro o, piuttosto, ha creato allarmismo ed accentuato un problema, quello dell'autolesionismo giovanile, che invece esiste già da un po'? Il tutto in nome del sensazionalismo e dell'audience?

Intendiamoci: i mezzi di comunicazione attuali ci fanno sentire un po' tutti onnipotenti. Andiamo da una parte all'altra del mondo con un clic di mouse, chiunque può far diventare virale una notizia o un video se ha un minimo di abilità per farlo. Pubblichiamo qualcosa, e chiunque, potenzialmente, può vederlo e leggerlo. A suo modo, perfino questo blog è un piccolo delirio di onnipotenza perché, al di la del mero esercizio di scrittura, immagino (forse illudendomi) che i miei post possano invitare qualcuno alla riflessione e, magari, a farsi un'opinione diversa, o a vedere le cose secondo una luce che non aveva mai considerato. Magari con il tempo sarà davvero così, per ora mi accontento che qualcuno venga a leggere e magari a commentare :-)

A voi i commenti!!

Fonti:



mercoledì 12 luglio 2017

APPELLO ALLA CURIA

Ciao a tutti

Visti gli ultimi post a tema "astigiano", non posso ignorare quello che rischia di succedere alla villa astigiana chiamata "Oasi dell'Immacolata", posta nella zona nord di Asti e circondata da un ampio parco.
Questo edificio di pregio, donato a suo tempo alla Curia per fini assistenziali, ha ospitato fino a qualche tempo fa una casa di riposo per religiosi, ora chiusa.
Ora, a quanto si vocifera, la Curia avrebbe deciso di vendere l'intero fabbricato alla COOP, per farne un supermercato, spostando così il suo punto vendita dall'attuale posizione in via Monti.
Un atto del genere significherebbe logicamente la demolizione di villa e parco e, a lungo termine, traffico ulteriormente intasato, ulteriore inquinamento (Asti è la seconda peggiore città piemontese in tal senso!) e piccole attività del circondario condannate a morte sicura.
E' stata lanciata una petizione online su change.org per impedire che tutto ciò avvenga, potete firmarla anche voi cliccando al link sottostante.
Grazie in anticipo per le vostre firme!!!






martedì 11 luglio 2017

ALLA (RI)SCOPERTA DELL'ASTIGIANITA'

Come scritto altrove (vedi La città delle occasioni perdute), secondo la mia umilissima opinione di astigiano del XXI secolo, la rinascita della città di Asti deve partire, innanzitutto, da una rinnovata consapevolezza di ciò che siamo stati, di come siamo ora, e come potremmo ritornare.
A tal proposito, ecco qui un documento che agli appassionati di storia è molto familiare, ma che alla maggior parte degli astigiani forse dice poco:

Bella vero?
E' una veduta dall'alto della nostra città risalente al XVII secolo, quando ormai il periodo di massimo splendore era trascorso da un pezzo. Eppure il duca Carlo Emanuele II di Savoia, sotto i cui domini ricadeva Asti, per far conoscere al resto d'Europa le bellezze dei suoi possedimenti fece stampare dall'editore e cartografo olandese Blaeu questa ed altre simili vedute, raccolte nel Theatrum Statuum Sabaudiae. Alla sua morte il lavoro fu portato avanti dalla vedova, la duchessa reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, e pubblicato nel 1682.
Ad un primo impatto, ammetto che si fa un po' fatica a riconoscere Asti in questa illustrazione...poi però basta trovare un punto di riferimento qualsiasi, ed eccola materializzarsi davanti ai nostri occhi. Il mio ad esempio è stata l'antica Porta San Giuliano, tuttora esistente e seminascosta dal Santuario della Madonna del Portone (che nel Theatrum non compare semplicemente perché...non esisteva ancora). Una volta individuata quella, ecco che compaiono Via al Santuario, Corso Don Minzoni, Piazza Porta Torino e, da lì, Corso Alfieri, l'antica Contrada Maestra. Questo è solo l'inizio naturalmente: con un po' di pazienza si può effettuare una vera caccia al tesoro e localizzare su quell'antica mappa i luoghi attuali. Prima ancora, però, a mio parere occorre uno stimolo, talmente potente e visibile da scuotere anche il più incallito dei "bugia nen" astigiani...e cosa c'è di più visibile della suddetta mappa, magari piazzata in gigantografia in alcuni punti strategici? Così, di getto, mi vengono in mente Piazza Porta Torino, Piazza I Maggio, Piazza Cattedrale e Piazza San Secondo...ma ci possono essere anche altri luoghi. Ovviamente, non può mancare il classico circolino con la scritta "voi siete qui"...tanto per aiutare i cittadini stessi (prima ancora dei turisti) ad orientarsi nel proprio passato ed a conoscerlo meglio. Se poi queste gigantografie fossero accompagnate da versioni più piccole della mappa, sparse per la città in ogni luogo con cui abbiano un'attinenza storica, si avrebbe un quadro decisamente più completo.

Si dice che per piacere bisogna innanzitutto piacersi. Questo è vero per le singole persone, ma anche per la collettività: impariamo a conoscere, apprezzare e valorizzare ciò che abbiamo...il resto viene da sé.

A voi i commenti!!!

venerdì 7 luglio 2017

LA CITTA' DELLE OCCASIONI PERDUTE

"I walk this empty street, on the boulevard of broken dreams..."
Così recita una popolarissima canzone dei Green Day di qualche anno fa: Boulevard of broken dreams, la strada dei sogni spezzati.
Ecco, se si potesse la dedicherei ad un'intera città, che è quella in cui ho avuto la residenza fino al 2015, quando mi sono sposato: Asti. Non sono ferrato nella sua storia come possono esserlo alcuni personaggi molto più colti di me, le mie conoscenze sono (per ora) molto sommarie...eppure, leggendo qui e la, provo due sensazioni nette e contrastanti: rimpianto, e rivalsa.

Perché "rimpianto"?

Beh, cari astigiani...guardiamoci allo specchio, tutti quanti, e soprattutto guardiamoci intorno: davvero la città, la nostra città, ci piace così com'è? Non credo, soprattutto leggendo le più varie lamentele sui social network: micro-delinquenza dilagante, inquinamento, rifiuti sparsi qua e la, lavoro che non c'è e non si trova, piccole attività soffocate dalla GDO e dalla burocrazia...eccetera, eccetera, eccetera. Tutto vero eh, al netto delle esagerazioni di turno i problemi ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. Senza contare la percezione che può avere chi vive lontano, e magari ha sentito parlare di Asti solo per lo spumante, o il Barbera.
In questo senso, ecco cosa mi capitò tempo fa: nella chat privata di un gioco di ruolo, quando dissi di essere astigiano la risposta fu "aaaah, ubriaconeeeeee :-) :-)". Così, tanto per dire...
Poi, c'è la lamentela PRINCIPE, che sento da quando sono nato: "ad Asti non c'è mai niente"...informarsi un po' no eh? Suvvia, ora c'è anche internet, si trova tutto con un minimo sforzo...ma sto divagando, e non ho ancora risposto alla domanda di qualche riga fa: perché "rimpianto"?

Beh, torno a dire: guardatevi attorno, magari nelle vie del centro storico, tra i palazzi di cui pochi si curano di conoscere la storia, e riflettete un attimo: gli edifici storici parlano, se li sappiamo osservare. Personalmente, più li guardo e più mi fanno pensare ad un'antica grandezza che, se ci documentiamo almeno un po', sappiamo essere esistita tra alti e bassi nei secoli, fino all'avvento di Napoleone.

Lo storico Carlo Vassallo, in proposito, ebbe a dire:

"Se Asti avesse saputo durar concorde, forse il Po, avrebbe dovuto al Tanaro invidiare la capitale del Piemonte".


Il dipinto "Cristo e gli apostoli sulla riva del Borbore", della cerchia di Bartolomeo Caravoglia (1670), esposto a Palazzo Mazzetti. Anticamente Asti era soprannominata "La città delle cento torri". Un soprannome azzeccato, a giudicare da ciò che si vede sullo sfondo.
Mica male vero?
Solo che, purtroppo, con i "se" e con i "ma", non si fa la Storia, e quel "se" di Vassallo pesa come un macigno su ciò che poteva essere e che non è stato. Lotte fratricide, contrasti, guerre contro nemici interni ed esterni hanno impedito nei secoli ad Asti di fare il definitivo "salto di qualità" compiuto invece da altre città come Milano, Mantova, Ferrara, Firenze ed altre che, trasformatesi in signorie, seppero far durare la loro prosperità per molto tempo. Così purtroppo non è stato, e il cosiddetto "riassetto urbano" del '900 ha fatto il resto, distruggendo parte del patrimonio storico. Il rimpianto di cui sopra deriva proprio da questo: dalla consapevolezza che, con un minimo di lungimiranza in più, ora vivremmo in una città molto diversa, e forse molto migliore. Invece, l'attitudine all'essere "bastian cuntrari" e a guardare solo al proprio orticello (che ci trasciniamo ancora oggi) ha tarpato, e tarpa tuttora le ali alla città. 

Di recente, ho letto "Nel nome di Asti", romanzo storico di Ito de Rolandis ambientato in epoca pre-rinascimentale, e ne sono rimasto affascinato, anche per il fatto di poter identificare alcuni luoghi dell'ambientazione con luoghi reali e tuttora esistenti. Alla fine del libro mi son fermato a riflettere e, pensando alla situazione attuale, mi son detto "ma come caxxo ci siamo ridotti...altro che Aste Nitet Mundo Sancto Custode Secundo". Da qui, "rivalsa", il secondo sentimento di cui parlavo all'inizio.

Intendiamoci: il mio non è un proposito di ritorno all'antico come quello scherzoso di alcune pagine Facebook tipo Feudalesimo e Libertà, non ho intenzione di fondare una casana, edificare un quartiere murato e fortificato come facevano secoli fa le famiglie astigiane più abbienti, o proclamare la rinata Repubblica Astese. Né intendo rivolgermi all'una o all'altra parte politica, il discorso è molto più profondo, e sicuramente è apartitico ed apolitico. Con questo "pezzo", mi rivolgo a me stesso e a ciascun singolo astigiano, autoctono o adottivo: possibile che la mentalità e le capacità che hanno fatto grande Asti nei secoli passati siano svanite del tutto? O semplicemente sono lì, a covare come fuoco sotto la cenere, aspettando il momento giusto per riemergere?

Da inguaribile ottimista, sono decisamente per la seconda ipotesi, e mi dico: "Sono astigiano, e sono orgoglioso di esserlo. Con le mie qualità e i miei difetti. Prima di dire che la mia città fa schifo e che non ha nulla da offrire, devo pensare a cosa posso fare nel mio piccolo per migliorarla...a partire da me stesso".

Ah, a proposito: tra le città candidate a capitale italiana della cultura per il 2020, c'è anche Asti. A buon intenditor poche parole...

A voi i commenti!!!


Grazie a Gianluigi Bera per la consulenza

mercoledì 5 luglio 2017

I SOGNI SON DESIDERI...

E' proprio vero, non c'è limite alla tenacia umana: quando è la passione a spingerci, siamo in grado di superare ogni limite, di spingerci dove non avremmo mai pensato di poter andare.

Tempo fa avevo scritto di Billy Monger, sfortunatissimo giovane pilota inglese di Formula 4, che aveva perso le gambe in un terrificante incidente di gara (clicca qui per leggere l'articolo). Un colpo durissimo per chiunque.

Eppure, a poche settimane dall'incidente, eccolo aggirarsi nel paddock della 24 Ore di Le Mans:

Fonte: pagina fan del pilota su Facebook

Finita qui? Macché. Fréderic Sausset, pilota francese quadriamputato che nel 2017 ha corso a Le Mans in categoria LMP2, ha offerto al giovane Billy la possibilità di entrare nella sua scuola di pilotaggio per disabili, con l'obiettivo di partecipare alla 24 Ore del 2020. In più, ciliegina sulla torta, Billy Monger è tornato al volante alla guida di un Volkswagen New Beetle del Team Brit, per un test sul circuito di Brands Hatch. Un primo approccio a cui (si spera) potrebbero seguirne altri.

Che dire...in bocca al lupo!!!

lunedì 3 luglio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 4

Clicca qui per leggere la terza parte

Anni '70 e '80: le voci sulla presunta pericolosità dell'amianto e dei suoi derivati stanno uscendo dall'ambito ristretto della medicina del lavoro, diffondendosi così anche tra la popolazione, che quindi comincia a diffidare e a chiedere risposte. Le grandi industrie, vedendo minacciati i propri interessi economici, fanno di tutto per insabbiare la verità attuando campagne di contro-informazione (ma sarebbe più corretto dire "disinformazione") e di pressioni a livello anche politico, per evitare l'emanazione di regolamenti restrittivi. E' in un ambito come questo che si inseriscono personaggi come Stephan Schmidheiny e il barone Cartier de Marchenne: due nomi che in Italia abbiamo imparato a conoscere nell'ambito del processo Eternit, in cui, finalmente, sono emerse le loro nefandezze. Schmidheiny, a dispetto dell'aura filantropica che si è costruito negli anni, nella vicenda Eternit ha mostrato tutt'altro volto: quello di un imprenditore completamente privo di scrupoli, che ha esposto consapevolmente le proprie maestranze al pericolo mortale rappresentato dalle fibre di amianto. Questo personaggio infatti divenne amministratore delegato della Eternit all'inizio degli anni '70, quando ormai la pericolosità di questo materiale era nota a tutti i grandi manager e industriali del settore. Come poteva non sapere? Impossibile, ed infatti nelle carte del processo emerge la volontà di "mettere a tacere" gli operai dando loro delle mascherine inefficaci, ma che sortivano un notevole effetto psicologico. Solo dopo si scoprirà che quei mezzi di protezione nulla potevano contro le fibre di amianto, troppo sottili per essere fermate.

Il procuratore Raffaele Guariniello: grazie alla sua opera è stato possibile portare in giudizio Stephan Schmidheiny e il barone De Marchenne

Tutto questo ha portato a formulare l'accusa di omicidio volontario: un reato per cui non esiste prescrizione e che, se fosse rimasta in piedi l'accusa, avrebbe fatto finire Schmidheiny dritto sparato in galera, anche senza le altre accuse come quella di disastro ambientale per cui, purtroppo, la prescrizione è invece intervenuta. Purtroppo, l'accusa è stata de-rubricata ad omicidio colposo a fine novembre 2016. Il che significa ricadere nell'incubo prescrizione anche per i morti di Casale Monferrato, Bagnoli, Cavagnolo e Rubiera.
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, ci si può rifare alle parole dell'ex-procuratore Raffaele Guariniello, vera anima del processo Eternit, il primo che ha osato sperare di poter fare giustizia in un caso tanto spinoso: stando alle sue parole infatti, ora il magnate svizzero (che aveva cercato di salvarsi offrendo un risarcimento, rifiutato, al comune di Casale Monferrato) dovrà rispondere di ogni caso, attuale e futuro, di morte per malattie asbesto-correlate tra i suoi ex dipendenti e tra gli abitanti delle città in cui sorgevano i suoi stabilimenti. Questo infatti ha stabilito la Corte Costituzionale.

Nel frattempo, l'anziano barone Cartier de Marchenne è deceduto: personalmente, non mi sento di augurargli di bruciare eternamente all'inferno, non spetta a me decidere. Tuttavia, mi piace pensare che, una volta morto, si sia trovato di fronte le anime di tutti coloro di cui ha causato la morte per la sua avidità...e che sia stato punito di conseguenza.

Tornando sulla terra, sperando che la giustizia umana faccia VERAMENTE il suo corso e il "filantropo" Schmidheiny paghi le sue colpe, c'è un grosso neo: la prescrizione del reato di disastro ambientale che, nel caso specifico, non avrebbe alcun senso. Il disastro infatti è tuttora in corso: nelle cittadine che ospitavano gli stabilimenti Eternit il rischio rappresentato dal "polverino" di amianto è quanto mai reale ed attuale, molti edifici anche pubblici sono stati costruiti con elementi in eternit, senza contare i pazzi incoscienti che, spaventati dai costi di smaltimento, si sbarazzano in aperta campagna di pericolosissime lastre scheggiate, libere di rilasciare nell'ambiente le loro fibre mortifere. Perché è questa la situazione più pericolosa: se il pezzo contenente amianto è integro, lo si può considerare innocuo, almeno nel breve periodo. Il problema però è che siamo di fronte a una bomba ad orologeria, pronta ad innescarsi alla prima crepa.

Che fare dunque? Come affrontare questo nemico tanto subdolo?

CONTINUA...