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mercoledì 5 luglio 2017

I SOGNI SON DESIDERI...

E' proprio vero, non c'è limite alla tenacia umana: quando è la passione a spingerci, siamo in grado di superare ogni limite, di spingerci dove non avremmo mai pensato di poter andare.

Tempo fa avevo scritto di Billy Monger, sfortunatissimo giovane pilota inglese di Formula 4, che aveva perso le gambe in un terrificante incidente di gara (clicca qui per leggere l'articolo). Un colpo durissimo per chiunque.

Eppure, a poche settimane dall'incidente, eccolo aggirarsi nel paddock della 24 Ore di Le Mans:

Fonte: pagina fan del pilota su Facebook

Finita qui? Macché. Fréderic Sausset, pilota francese quadriamputato che nel 2017 ha corso a Le Mans in categoria LMP2, ha offerto al giovane Billy la possibilità di entrare nella sua scuola di pilotaggio per disabili, con l'obiettivo di partecipare alla 24 Ore del 2020. In più, ciliegina sulla torta, Billy Monger è tornato al volante alla guida di un Volkswagen New Beetle del Team Brit, per un test sul circuito di Brands Hatch. Un primo approccio a cui (si spera) potrebbero seguirne altri.

Che dire...in bocca al lupo!!!

lunedì 1 maggio 2017

I TRE GIORNI PIU' LUNGHI

Tre giorni. Tanto è bastato per cambiare per sempre il mondo della Formula 1, riportando improvvisamente sulla terra persone ed organizzazioni che si ritenevano invincibili e si cullavano nell'illusione che nulla di grave potesse più succedere. Erano passati molti anni ormai dalle tragedie di Gilles Villeneuve, di Riccardo Paletti (1982) e di Elio de Angelis (1986), la tecnica aveva fatto passi da gigante, qualcuno si azzardò persino a dire "Con queste macchine, più sicure di così, si muore", mentre qualcun altro, Ayrton Senna, aveva mostrato preoccupazione all'inizio della stagione 1994 dicendo esplicitamente che, con quelle macchine, sarebbe stata una gran fortuna se nessuno si fosse fatto male durante la stagione. Quali erano dunque le reali premesse del campionato di Formula 1 del 1994?

Facciamo un passo indietro: nel periodo 1984-1993, il titolo piloti era stato una questione privata tra Williams e McLaren, mentre squadre storiche come Ferrari, Tyrrel, Brabham, Lotus e Ligier erano in grave crisi. In più, l'elettronica era entrata in maniera prepotente negli abitacoli delle auto tanto che, se non fosse stato per normalissimi problemi di gioventù e affidabilità del sistema sulla sua Williams, Nigel Mansell sarebbe già stato campione del mondo nel 1991, al posto di Senna. La Lotus, proprio grazie a Senna che le aveva imposte e pretese, aveva sviluppato le "sospensioni attive", un sistema intelligente che consentiva di controllare l'altezza da terra dell'automobile in ogni momento durante la corsa. Per i profani, questo significa una maggiore stabilità e controllabilità, il che ad alte velocità non guasta. Solo che, in caso di avaria, erano guai: la macchina strisciava per terra, e se questo succedeva ai 300 all'ora, si rischiava grosso. Chiedere ad esempio ad Alex Zanardi, che da un secondo all'altro si ritrovò più alto di 3 cm dopo un botto a Spa-Francorchamps nel 1993. 

Tutto questo fece sì che, per il 1994, l'elettronica a bordo delle vetture fosse praticamente azzerata per regolamento, ufficialmente per garantire maggiore spettacolo e restituire al pilota un ruolo predominante. Solo che nessuno aveva fatto i conti con i progettisti: tutti infatti avevano disegnato le vetture per il 1994 prevedendo l'utilizzo dell'elettronica per cui, al cambio di regolamento, si limitarono a toglierla pedestremente, mandando in pista le macchine così com'erano, riadattandole per il minimo indispensabile. Da qui l'affermazione di Senna citata in precedenza: le vetture risultavano imprevedibili, scorbutiche, difficili da guidare e da portare al limite. In definitiva, poco sicure. Solo la Benetton del giovane Schumacher sembrava esente da questi problemi...ma questa è un'altra storia.

La stagione 1994 iniziava quindi con grandi incertezze dal punto di vista tecnico, e anche le avvisaglie sulla sicurezza non erano delle migliori: il ferrarista Alesi si era infortunato gravemente durante un test privato, così come JJ Lehto, compagno di squadra di Schumacher. Si proseguì come se nulla fosse, fino al GP di San Marino, che cambierà per sempre la storia della Formula 1.
Il crescendo di incidenti, paura e dolore iniziò già al venerdì: la Jordan del giovane Rubens Barrichello decollò e si schiantò a tutta velocità contro le barriere della Variante Bassa, per colpa dell'esplosione di una gomma. Il brasiliano, incredibilmente, se la cavò con lesioni di pochissimo conto, anche se fu costretto a saltare la gara.

Questo però era solo l'inizio, perché durante le prove del sabato tutti, fans e addetti ai lavori, sbatterono la faccia contro lo scenario peggiore: Roland Ratzenberger, pilota pressoché sconosciuto con una lunghissima gavetta alle spalle, si schiantò con la sua Simtek ai 320 orari contro il muretto in cemento della curva Villeneuve. L'immagine della carcassa della vettura con un buco nella scocca, e la testa del pilota che ciondolava inerte dall'abitacolo fecero calare il gelo sull'autodromo di Imola. I soccorsi, tempestivi, furono inutili: Roland (come confermato anche dall'autopsia) era morto sul colpo, anche se per non fermare il Gran Premio fu messo in scena uno squallido teatrino per poter dichiarare il decesso all'arrivo in ospedale. Perché the show must go on, soprattutto se in ballo ci sono un bel po' di soldi. La domenica, l'epilogo noto a tutti: prima l'incidente alla partenza, con i detriti che feriscono gli spettatori, poi la Williams di Senna che va dritta alla curva del Tamburello, i soccorsi, e la morte quattro ore dopo in ospedale a Bologna per colpa di un incredibile scherzo del destino. Altri piloti si erano già schiantati in quel punto uscendone magari malconci ma vivi: un pezzo di sospensione, che trafisse il casco sopra l'occhio destro, diede il colpo fatale al campione brasiliano.

Dopo i fatti di Imola 94, la dirigenza della Formula 1 fu presa da un'isteria collettiva, facendo inserire varianti posticce nei vari circuiti ed imponendo modifiche alle vetture per limitarne potenza e velocità. Per la cronaca, questi provvedimenti non servirono un granché: anche se non ci furono più morti, la sequela di incidenti continuò per tutta la stagione. Il tutto nell'attesa di capire esattamente le cause della morte di Ratzenberger e Senna, cause che, nel caso del brasiliano, vennero fuori solo dopo omissioni e goffi tentativi di depistaggio, anche da parte dei suoi stessi colleghi e della Williams.

L'importanza di questi due piloti, a tanti anni di distanza dalla loro morte, la si vede dal ricordo che, tutti gli anni, si ravviva sui giornali e sul web. Senna, in particolare, è un punto di riferimento perfino per chi ha vissuto marginalmente i suoi successi per questioni anagrafiche, o non era neppure nato. Magico potere della rete, che fa rivivere per sempre le imprese del passato. Ayrton aveva anche i suoi lati oscuri, certo. Eppure, se è passato alla storia dello sport, è stato anche per il suo essere umano all'esasperazione, con i suoi pregi e difetti, che lo portarono e lo portano ad entrare nel cuore di chi vide, e rivede tuttora, le sue gesta.

VALEU SENNA!!!

venerdì 21 aprile 2017

IL PREZZO DEI SOGNI

Notizia arrivata dalla pista di Donington Park, Inghilterra: il pilota 17enne Billy Monger, partecipante al campionato locale di Formula 4 e considerato un buon talento in ottica futura, ha avuto un terribile incidente di gara: ha tamponato a tutta velocità l'auto di un avversario, rimasta ferma in traiettoria dopo un testacoda. Il tutto è successo in pochi attimi, lui non ha potuto far niente per schivare l'ostacolo, e i commissari di gara non hanno avuto neanche il tempo di sventolare le bandiere gialle di pericolo.

Di incidenti, in questo genere di gare, se ne vedono parecchi: irruenza, inesperienza, cattiveria agonistica e voglia di emergere la fanno da padrone nelle categorie minori dell'automobilismo, dove piloti poco più che ragazzini sognano di essere, un giorno, i nuovi Max Verstappen, Lewis Hamilton o Sebastian Vettel, giusto per citare i nomi più in voga attualmente. Il tutto a carissimo prezzo, dal punto di vista finanziario (l'automobilismo è uno sport per ricchi fin dai suoi albori), ma anche della sicurezza. Normalmente infatti, incidenti del genere si risolvono con macchine semidistrutte e grossi spaventi. Non stavolta. Stavolta l'abitacolo della macchina di Billy Monger è stato completamente divelto all'altezza delle gambe, tanto che ci sono volute due ore per estrarlo dal relitto e portarlo in ospedale. Lì, purtroppo, i medici han dovuto amputargliele entrambe al di sotto del ginocchio. Una sfortuna terribile: per fare un esempio, a fine anni '80 il pilota Johnny Herbert andò a sbattere contro le barriere mentre aveva le gambe a penzoloni dall'abitacolo per un precedente urto. Ebbene, se la cavò con una menomazione nella camminata che però non gli impedì di arrivare in Formula Uno, e di restarci per diversi anni. Stavolta invece, questo giovane pilota ha dovuto pagare un prezzo altissimo: carriera probabilmente stroncata, e riabilitazione lunga e difficile. 
Billy Monger alla guida della sua vettura di Formula 4 
(fonte: pagina Facebook ufficiale del pilota)
Di positivo, in questa storia, c'è la reazione del mondo delle corse: molti piloti di Formula Uno si sono mossi in prima persona per aiutare finanziariamente il loro giovane collega e la sua famiglia a superare questo momento drammatico. Una riflessione però è doverosa: questi ragazzi (e le loro famiglie) spesso affrontano sacrifici enormi per assecondare le loro passioni, nelle categorie minori è il pilota a dover trovare dei soldi se vuole avere una possibilità di dimostrare il suo talento. E' un investimento a forte rischio, perché sono pochi poi i ragazzi che riescono ad arrivare al vertice dell'automobilismo sportivo, bisogna essere abili e fortunati. Ora, in tutto questo, è accettabile che un ragazzo di 17 anni ci rimetta le gambe perché la scocca della sua auto non ha retto ad un tamponamento?

Nelle categorie superiori (Formula 1, ma anche GP2 per esempio) si vedono incidenti terrificanti in cui però l'abitacolo (la cosiddetta "cellula di sopravvivenza") regge perfettamente al botto riducendo al minimo il rischio di infortuni. Sono lontani ormai i tempi in cui i piloti della massima formula rischiavano di fratturarsi le gambe per un urto frontale. Per fare un esempio, l'ultimo a subire un incidente del genere fu Michael Schumacher nel 1999 a Silverstone. Soltanto due anni dopo, il brasiliano Burti sbatté frontalmente ai 300 orari contro un muro di gomme, uscendone stordito ma pressoché illeso. Il che significa che, se c'è la volontà di farlo, si può sempre migliorare la sicurezza passiva. Nel caso di Billy Monger e delle vetture di Formula 4, abitacoli più robusti comporterebbero molto probabilmente costi maggiori ma, a mio parere, starebbe agli organizzatori trovare una soluzione per evitare altri infortuni del genere mantenendo parametri economici ragionevoli.

A voi i commenti, e in bocca al lupo a Billy Monger!!

domenica 19 febbraio 2017

UNA VITA DA FILM: LA STORIA DI WILLIAM GROVER-WILLIAMS

SECONDA PARTE

William Grover-Williams: pilota di successo agli albori dell’automobilismo sportivo, seppe ritagliarsi un ruolo da protagonista anche durante la seconda guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto infatti, rispose alla chiamata alle armi dell’esercito britannico in cui, dati i suoi trascorsi, gli venne assegnata la mansione di autista sul fronte belga. 

Fu proprio in questo ruolo che si mise in luce una prima volta: durante il disastro di Dunkerque (in cui l’intera armata britannica in Francia fu costretta a scappare lasciandosi dietro armi ed equipaggiamento per non cadere prigioniera dei tedeschi), William finì tagliato fuori dall’accerchiamento, e riuscì a portare in salvo un generale attraverso la Bretagna grazie alle sue doti di pilota. Questa prima impresa, unita ad un bilinguismo perfetto (aveva vissuto in Inghilterra all’epoca della Grande Guerra), gli spalancò le porte dello Special Operations Executive (SOE): Un’organizzazione talmente segreta che ufficialmente non esisteva nemmeno, e che aveva lo scopo di organizzare azioni di spionaggio e sabotaggio nei territori occupati dai nazisti. Per avere un’idea del livello di segretezza del SOE, si pensi che i documenti che lo riguardano sono stati declassificati soltanto nel 1997.

Dopo un apposito addestramento, William fu paracadutato in territorio francese nel 1942, e fu lì che scoprì di essere completamente solo: la rete di spionaggio esistente era stata annientata dai nazisti nell’autunno del 1941, perciò dovette lavorare in gran segreto per ricostruire tutto da zero. Dopo aver aspettato inutilmente rinforzi, Grover-Williams contattò Benoist, che accettò di aiutarlo. I due riuscirono a costruire una rete di resistenza nella zona di Parigi, riuscendo anche a portare a termine alcuni sabotaggi, in particolare ai danni di uno stabilimento Citroen. La loro attività insieme durò fino al 1943 quando, traditi da Maurice (fratello di Robert), furono arrestati dalla Gestapo. Benoist riuscì a scappare gettandosi da un’auto in corsa, e riuscendo a raggiungere l’Inghilterra: tornato in Francia, arruolò nella resistenza Jean-Pierre Wimille, altro ex-pilota ma, nel 1944, fu nuovamente arrestato e imprigionato a Buchenwald, dove fu ucciso insieme ad altri agenti segreti.

Grover-Williams purtroppo non riuscì a scappare: dopo aver subito torture e interrogatori fu deportato a Sachsenhausen dove, stando alle testimonianze dei pochi sopravvissuti, non sarebbe stato più visto dopo il 18 marzo del 1945; è assai probabile che sia stato ucciso insieme a Francis Suttill, altro membro del SOE che era prigioniero nella cella accanto alla sua. Dei tre piloti coinvolti in questa storia l’unico a sopravvivere alla guerra fu Wimille, ma anche per lui il destino era in agguato: morì nel rogo della sua vettura durante le prove del Gran Premio di Argentina del 1949.

Fin qui la storia certa di un uomo che, dopo aver affrontato i pericoli dei Gran Premi degli anni 20 e 30 dove la morte in pista era all'ordine del giorno, diede il suo contributo alla liberazione della Francia mostrando tutto il suo coraggio. Fosse stato un personaggio qualsiasi, sarebbe tutto finito con la morte a Sachsenhausen e l’iscrizione del suo nome sul monumento agli agenti del SOE caduti per la Francia. Invece, dopo il conflitto iniziarono a circolare delle voci, proprio come quando era in vita. Qualcuno disse di aver incontrato un tale che ai gran premi firmava autografi a nome “Williams”, ma l’ipotesi più clamorosa si fece largo quando il giornalista Robert Ryan e il produttore cinematografico Jack Bond pubblicarono una storia sul Sunday Times. Secondo la loro teoria, Grover-Williams non sarebbe stato ucciso a Sachsenhausen, bensì trasferito nel campo di Rawicz, liberato dopo poco tempo dall’Armata Rossa. Una volta libero, William avrebbe prestato servizio nell’MI6 (il servizio segreto britannico) nel biennio 1946-47, e sarebbe poi tornato dalla moglie sotto la falsa identità di Georges Tambal. In seguito alla morte di Yvonne nel 1973, Georges/William si sarebbe trasferito ad Agen dove sarebbe morto nel 1983, investito dalla Mercedes di un turista tedesco durante una passeggiata in bicicletta.

Questa storia, pur avvincente e ripresa da più parti sul web, è stata smontata dal fratello di William, Frederic, che ne ha confermato la morte in prigionia. Un’altra smentita è arrivata dal Bugatti Trust, la fondazione che si occupa della storia del marchio Bugatti. Secondo il curatore Richard Day, il fondatore del Bugatti Trust Hugh Conway si recò a casa di Yvonne e incontrò personalmente il misterioso Tambal ma, a detta del figlio Hugh Conway Jr., se fosse davvero stato William lo avrebbe senz’altro riconosciuto.

È difficile dire dove finisca la verità e dove inizi la leggenda: probabilmente, il racconto di Ryan e Bond è solo speculazione, come affermato a gran voce dagli storici del mondo Bugatti. A noi rimane la storia di un uomo che ha vissuto una vita intensa, sempre al limite, e che non ha esitato a mettersi in gioco e a correre dei rischi terribili. Una vita da film, e chissà che prima o poi qualcuno non lo giri veramente, un film su questo campione dimenticato. Per ora esiste il libro “Grand Prix Saboteurs” di Joe Saward dedicato alle imprese di Grover-Williams, Benoist e Wimille; in italiano Grover-Williams è citato in “Meccanica celeste” di Maurizio Maggiani.

A voi i commenti!


William Grover-Williams
Robert Benoist
Jean-Pierre Wimille
       


(immagini tratte da Wikipedia)


giovedì 16 febbraio 2017

UNA VITA DA FILM: LA STORIA DI WILLIAM GROVER-WILLIAMS

Prima parte

Campo di concentramento di Sachsenhausen, 18 marzo 1945: stando alle informazioni ufficiali, intorno a questa data fu ucciso il capitano William Grover-Williams, ex pilota automobilistico; un nome che dice poco anche alla maggioranza degli appassionati. Qualcuno magari ricorda che fu lui a vincere la prima edizione del Gran Premio di Montecarlo, svoltasi nel 1929, ma niente più. Chi è stato nel Principato magari ha anche visto il monumento che lo ritrae alla guida della sua vettura. Eppure, già da vivo questo personaggio era circondato da un’aura di fascino e mistero, persino tra i suoi stessi colleghi, e ha continuato a far discutere anche da morto.

La storia che state per leggere è stata messa insieme radunando le informazioni disponibili sul web (ho creato la pagina di Wikipedia rifacendomi anche ad esse). Data la sua lunghezza l’ho divisa in due capitoli, pubblicherò il secondo a breve.

William Grover nacque a Montrouge nel 1903, da una famiglia benestante. Pare che il padre Frederick fosse amico del principe Troubetzkoy, ambasciatore russo in Inghilterra, per il quale allevava cavalli. Quando questi fu trasferito all’ambasciata di Parigi, aiutò Frederick a stabilirsi anche lui in Francia, dove conobbe sua moglie.
Fin da giovanissimo, William mostrò grande passione per la meccanica e per le automobili,  al punto che imparò a guidare sulla Rolls-Royce del fidanzato di una delle sorelle e, procuratosi una motocicletta (probabilmente un residuato di guerra), iniziò a gareggiare su due ruote di nascosto dalla famiglia. Fu in questo periodo che adottò lo pseudonimo “Williams” che lo accompagnerà per tutta la vita, e che all’epoca gli serviva per barare sulla sua vera età.
Al termine della Grande Guerra, riuscì a trovare lavoro come chauffeur presso Sir Orpen, l’artista ufficiale della Conferenza di pace di Parigi. Strinse anche una grande amicizia con la sua amante Yvonne al punto che, quando la storia tra i due finì, lei e William si sposarono. Il tutto con la benedizione di Orpen, che li aiutò economicamente e regalò loro una casa e un’automobile.
Nel frattempo, William era passato dalle due alle quattro ruote, una prassi piuttosto comune all’epoca, e nel 1927 si era messo in luce lottando contro l’asso francese Robert Benoist, nonostante guidasse una vettura inferiore. L’anno successivo, comprata una Bugatti di seconda mano, riuscì a vincere il Gran Premio di Francia, successo che replicò nel 1929. Nello stesso anno, come detto in precedenza, arrivò la vittoria al primo Gran Premio di Montecarlo, contro tutti i pronostici che davano favorito il campione tedesco Rudi Caracciola. Per l’occasione la sua Bugatti era dipinta in verde: tale colore avrebbe identificato da lì in avanti tutte le vetture gestite da squadre britanniche, diventando noto come “British Racing Green”.
Fu questo successo in particolare che regalò grande fama a William: lui e Yvonne erano descritti come una coppia unica nel suo genere. Erano capaci di gareggiare in auto come di ballare per tutta la notte nei club del Principato. William divenne anche un buon giocatore di tennis e golf. In tutto questo, la coppia riuscì a mantenere un’aura di mistero intorno a sé. Nessuno, nemmeno tra gli altri piloti, sapeva chi fosse esattamente William: c’era chi diceva che fosse molto ricco, altri dicevano che fosse un autista con la passione delle corse. Di certo, era il più forte tra i piloti britannici del periodo, e a Montecarlo era diventato una specie di istituzione: si narra infatti che lui e la moglie sfrecciassero a velocità folle su auto separate per le strade di Montecarlo, ma che la gendarmeria fermasse sempre e solo Yvonne. Alle sue proteste, rispondevano “Lui è Williams, non possiamo fermare Williams”.

William vinse ancora il Gran Premio del Belgio del 1931 (in coppia con il conte Caberto Conelli) e altre tre gare minori a La Baule dove abitava, poi nel 1936 decise di ritirarsi. Rimase tuttavia nel giro delle corse, divenendo amico di Robert Benoist e lavorando per la Bugatti come istruttore di guida per i nuovi clienti, mentre Yvonne allevava cani da esposizione. Un idillio che purtroppo sarebbe durato poco: il 1 settembre 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale.


CONTINUA...