venerdì 24 febbraio 2017

UMANI E GATTI

Dopo un periodo di pausa è tornata la pubblicità dell'acqua Uliveto, con l'eterno testimonial Alex Del Piero, e l'immancabile passerotto nell'inedita veste di rompiscatole petulante. Come tutti avrete visto, lo spot si chiude con la faccia sorniona di Del Piero che, stufo delle prese in giro del passero, dice "domani compro un gatto", frase modificata successivamente in "domani prendo un gatto".

Apriti cielo.

La pubblicità è stata presa di mira da alcuni animalisti, perché "prendere un gatto" significa automaticamente "il gatto si pappa il passerotto, così la smette di prendermi per i fondelli".

Personalmente ho trovato lodevole la modifica della frase: con tutti i trovatelli che ci sono nei vari rifugi, "incentivare" l'acquisto di un felino non è esattamente il massimo. Molto meglio un generico "prendere", che apre le porte a tutte le possibilità, inclusa quella dell'adozione. Non è questo tuttavia il punto: gli animalisti se la sono presa perché questa pubblicità "trasmetterebbe un messaggio diseducativo", ossia "Del Piero si prenderebbe un gatto solo per fargli mangiare il passerotto e tanti saluti".

Mi viene da dire: se davvero questa pubblicità è diseducativa, allora lo sono anche cartoni animati come Tom e Jerry, Titti e Silvestro, e tanti altri. Tutti noi li abbiamo guardati almeno una volta nella vita e, confessiamolo, ci siamo pure fatti delle belle risate. Eppure, mica erano tutti rose e fiori, questi cartoni, anzi, volavano delle gran botte! Non solo: quale pensiamo che fosse lo scopo di Tom quando dava la caccia a Jerry? Suvvia, non siamo ipocriti, vogliamo censurare anche loro per caso?

Tornando alla realtà, chiunque abiti in campagna e abbia uno o più gatti sa bene che, pur trattandoli come dei bambini (e loro se ne approfittano alla grande), i nostri adorati felini rimangono pur sempre dei piccoli, feroci predatori. Predatori che, pur avendo la pancia piena, non disdegnano di cacciare per divertimento, per farci un regalo, o anche solo per curiosità nei confronti della preda: ho visto uno dei miei gatti esaminare una talpa viva con l'interesse di un naturalista, salvo poi farsela scappare in giardino. Non vi dico i danni che ha fatto quell'animaletto...purtroppo, nel nostro modo di vivere sempre più asettico, stiamo umanizzando a tutti i costi i nostri amici animali, dimenticandoci spesso della loro vera natura. Lo spot Uliveto ha avuto l'ardire di ricordarci che un felino è pur sempre un felino, con tutti i suoi istinti. In primis, quello della caccia. Soffocarli, per quanto crudeli essi siano, è un grande atto di presunzione.

Che ne pensate?

A voi i commenti!






lunedì 20 febbraio 2017

UN NUOVO AMICO

Ecco una bella novità fresca fresca: Homo sum ha un nuovo amico!! Si tratta del sito www.cinemaruotalibera.it, un progetto nato da poco che si propone di recensire i cinema italiani in base ai servizi offerti ai disabili in carrozzina come l’accessibilità, la presenza o meno di posti riservati, e la loro collocazione all’interno delle sale. 

Il progetto si basa sulla collaborazione di chiunque possa avere informazioni utili in materia: è sufficiente registrarsi al forum e scrivere il proprio messaggio, oppure mandare una mail a info@cinemaruotalibera.it. Via via che verranno fornite informazioni, il database diventerà sempre più grande ed aggiornato, creando così uno strumento utilissimo a disabili ed accompagnatori.

In bocca al lupo dunque a cinemaruotalibera.it e al suo creatore Carlo Guglielmo Vitale!!

domenica 19 febbraio 2017

UNA VITA DA FILM: LA STORIA DI WILLIAM GROVER-WILLIAMS

SECONDA PARTE

William Grover-Williams: pilota di successo agli albori dell’automobilismo sportivo, seppe ritagliarsi un ruolo da protagonista anche durante la seconda guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto infatti, rispose alla chiamata alle armi dell’esercito britannico in cui, dati i suoi trascorsi, gli venne assegnata la mansione di autista sul fronte belga. 

Fu proprio in questo ruolo che si mise in luce una prima volta: durante il disastro di Dunkerque (in cui l’intera armata britannica in Francia fu costretta a scappare lasciandosi dietro armi ed equipaggiamento per non cadere prigioniera dei tedeschi), William finì tagliato fuori dall’accerchiamento, e riuscì a portare in salvo un generale attraverso la Bretagna grazie alle sue doti di pilota. Questa prima impresa, unita ad un bilinguismo perfetto (aveva vissuto in Inghilterra all’epoca della Grande Guerra), gli spalancò le porte dello Special Operations Executive (SOE): Un’organizzazione talmente segreta che ufficialmente non esisteva nemmeno, e che aveva lo scopo di organizzare azioni di spionaggio e sabotaggio nei territori occupati dai nazisti. Per avere un’idea del livello di segretezza del SOE, si pensi che i documenti che lo riguardano sono stati declassificati soltanto nel 1997.

Dopo un apposito addestramento, William fu paracadutato in territorio francese nel 1942, e fu lì che scoprì di essere completamente solo: la rete di spionaggio esistente era stata annientata dai nazisti nell’autunno del 1941, perciò dovette lavorare in gran segreto per ricostruire tutto da zero. Dopo aver aspettato inutilmente rinforzi, Grover-Williams contattò Benoist, che accettò di aiutarlo. I due riuscirono a costruire una rete di resistenza nella zona di Parigi, riuscendo anche a portare a termine alcuni sabotaggi, in particolare ai danni di uno stabilimento Citroen. La loro attività insieme durò fino al 1943 quando, traditi da Maurice (fratello di Robert), furono arrestati dalla Gestapo. Benoist riuscì a scappare gettandosi da un’auto in corsa, e riuscendo a raggiungere l’Inghilterra: tornato in Francia, arruolò nella resistenza Jean-Pierre Wimille, altro ex-pilota ma, nel 1944, fu nuovamente arrestato e imprigionato a Buchenwald, dove fu ucciso insieme ad altri agenti segreti.

Grover-Williams purtroppo non riuscì a scappare: dopo aver subito torture e interrogatori fu deportato a Sachsenhausen dove, stando alle testimonianze dei pochi sopravvissuti, non sarebbe stato più visto dopo il 18 marzo del 1945; è assai probabile che sia stato ucciso insieme a Francis Suttill, altro membro del SOE che era prigioniero nella cella accanto alla sua. Dei tre piloti coinvolti in questa storia l’unico a sopravvivere alla guerra fu Wimille, ma anche per lui il destino era in agguato: morì nel rogo della sua vettura durante le prove del Gran Premio di Argentina del 1949.

Fin qui la storia certa di un uomo che, dopo aver affrontato i pericoli dei Gran Premi degli anni 20 e 30 dove la morte in pista era all'ordine del giorno, diede il suo contributo alla liberazione della Francia mostrando tutto il suo coraggio. Fosse stato un personaggio qualsiasi, sarebbe tutto finito con la morte a Sachsenhausen e l’iscrizione del suo nome sul monumento agli agenti del SOE caduti per la Francia. Invece, dopo il conflitto iniziarono a circolare delle voci, proprio come quando era in vita. Qualcuno disse di aver incontrato un tale che ai gran premi firmava autografi a nome “Williams”, ma l’ipotesi più clamorosa si fece largo quando il giornalista Robert Ryan e il produttore cinematografico Jack Bond pubblicarono una storia sul Sunday Times. Secondo la loro teoria, Grover-Williams non sarebbe stato ucciso a Sachsenhausen, bensì trasferito nel campo di Rawicz, liberato dopo poco tempo dall’Armata Rossa. Una volta libero, William avrebbe prestato servizio nell’MI6 (il servizio segreto britannico) nel biennio 1946-47, e sarebbe poi tornato dalla moglie sotto la falsa identità di Georges Tambal. In seguito alla morte di Yvonne nel 1973, Georges/William si sarebbe trasferito ad Agen dove sarebbe morto nel 1983, investito dalla Mercedes di un turista tedesco durante una passeggiata in bicicletta.

Questa storia, pur avvincente e ripresa da più parti sul web, è stata smontata dal fratello di William, Frederic, che ne ha confermato la morte in prigionia. Un’altra smentita è arrivata dal Bugatti Trust, la fondazione che si occupa della storia del marchio Bugatti. Secondo il curatore Richard Day, il fondatore del Bugatti Trust Hugh Conway si recò a casa di Yvonne e incontrò personalmente il misterioso Tambal ma, a detta del figlio Hugh Conway Jr., se fosse davvero stato William lo avrebbe senz’altro riconosciuto.

È difficile dire dove finisca la verità e dove inizi la leggenda: probabilmente, il racconto di Ryan e Bond è solo speculazione, come affermato a gran voce dagli storici del mondo Bugatti. A noi rimane la storia di un uomo che ha vissuto una vita intensa, sempre al limite, e che non ha esitato a mettersi in gioco e a correre dei rischi terribili. Una vita da film, e chissà che prima o poi qualcuno non lo giri veramente, un film su questo campione dimenticato. Per ora esiste il libro “Grand Prix Saboteurs” di Joe Saward dedicato alle imprese di Grover-Williams, Benoist e Wimille; in italiano Grover-Williams è citato in “Meccanica celeste” di Maurizio Maggiani.

A voi i commenti!


William Grover-Williams
Robert Benoist
Jean-Pierre Wimille
       


(immagini tratte da Wikipedia)


giovedì 16 febbraio 2017

UNA VITA DA FILM: LA STORIA DI WILLIAM GROVER-WILLIAMS

Prima parte

Campo di concentramento di Sachsenhausen, 18 marzo 1945: stando alle informazioni ufficiali, intorno a questa data fu ucciso il capitano William Grover-Williams, ex pilota automobilistico; un nome che dice poco anche alla maggioranza degli appassionati. Qualcuno magari ricorda che fu lui a vincere la prima edizione del Gran Premio di Montecarlo, svoltasi nel 1929, ma niente più. Chi è stato nel Principato magari ha anche visto il monumento che lo ritrae alla guida della sua vettura. Eppure, già da vivo questo personaggio era circondato da un’aura di fascino e mistero, persino tra i suoi stessi colleghi, e ha continuato a far discutere anche da morto.

La storia che state per leggere è stata messa insieme radunando le informazioni disponibili sul web (ho creato la pagina di Wikipedia rifacendomi anche ad esse). Data la sua lunghezza l’ho divisa in due capitoli, pubblicherò il secondo a breve.

William Grover nacque a Montrouge nel 1903, da una famiglia benestante. Pare che il padre Frederick fosse amico del principe Troubetzkoy, ambasciatore russo in Inghilterra, per il quale allevava cavalli. Quando questi fu trasferito all’ambasciata di Parigi, aiutò Frederick a stabilirsi anche lui in Francia, dove conobbe sua moglie.
Fin da giovanissimo, William mostrò grande passione per la meccanica e per le automobili,  al punto che imparò a guidare sulla Rolls-Royce del fidanzato di una delle sorelle e, procuratosi una motocicletta (probabilmente un residuato di guerra), iniziò a gareggiare su due ruote di nascosto dalla famiglia. Fu in questo periodo che adottò lo pseudonimo “Williams” che lo accompagnerà per tutta la vita, e che all’epoca gli serviva per barare sulla sua vera età.
Al termine della Grande Guerra, riuscì a trovare lavoro come chauffeur presso Sir Orpen, l’artista ufficiale della Conferenza di pace di Parigi. Strinse anche una grande amicizia con la sua amante Yvonne al punto che, quando la storia tra i due finì, lei e William si sposarono. Il tutto con la benedizione di Orpen, che li aiutò economicamente e regalò loro una casa e un’automobile.
Nel frattempo, William era passato dalle due alle quattro ruote, una prassi piuttosto comune all’epoca, e nel 1927 si era messo in luce lottando contro l’asso francese Robert Benoist, nonostante guidasse una vettura inferiore. L’anno successivo, comprata una Bugatti di seconda mano, riuscì a vincere il Gran Premio di Francia, successo che replicò nel 1929. Nello stesso anno, come detto in precedenza, arrivò la vittoria al primo Gran Premio di Montecarlo, contro tutti i pronostici che davano favorito il campione tedesco Rudi Caracciola. Per l’occasione la sua Bugatti era dipinta in verde: tale colore avrebbe identificato da lì in avanti tutte le vetture gestite da squadre britanniche, diventando noto come “British Racing Green”.
Fu questo successo in particolare che regalò grande fama a William: lui e Yvonne erano descritti come una coppia unica nel suo genere. Erano capaci di gareggiare in auto come di ballare per tutta la notte nei club del Principato. William divenne anche un buon giocatore di tennis e golf. In tutto questo, la coppia riuscì a mantenere un’aura di mistero intorno a sé. Nessuno, nemmeno tra gli altri piloti, sapeva chi fosse esattamente William: c’era chi diceva che fosse molto ricco, altri dicevano che fosse un autista con la passione delle corse. Di certo, era il più forte tra i piloti britannici del periodo, e a Montecarlo era diventato una specie di istituzione: si narra infatti che lui e la moglie sfrecciassero a velocità folle su auto separate per le strade di Montecarlo, ma che la gendarmeria fermasse sempre e solo Yvonne. Alle sue proteste, rispondevano “Lui è Williams, non possiamo fermare Williams”.

William vinse ancora il Gran Premio del Belgio del 1931 (in coppia con il conte Caberto Conelli) e altre tre gare minori a La Baule dove abitava, poi nel 1936 decise di ritirarsi. Rimase tuttavia nel giro delle corse, divenendo amico di Robert Benoist e lavorando per la Bugatti come istruttore di guida per i nuovi clienti, mentre Yvonne allevava cani da esposizione. Un idillio che purtroppo sarebbe durato poco: il 1 settembre 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale.


CONTINUA...

lunedì 13 febbraio 2017

MESSI A NUDO

Le leggi dell’audience sono spietate: tutto è spettacolo, tutto può essere sfruttato per creare ascolti, tutto può fare scalpore, specie se sei un personaggio televisivo. Più sei famoso più la sfera privata si rimpicciolisce, a vantaggio di quella pubblica. L’apoteosi di questa situazione naturalmente la vediamo nei reality show, letteralmente “esplosi” a partire dalla fine degli anni 90 come nuovo fenomeno di massa, talmente radicato che a volte si tende a far confusione tra loro e la vita reale di tutti i giorni. Ovviamente nel calderone finisce di tutto, anche fatti e azioni che appartengono alla sfera privata, e tali dovrebbero rimanere. Ad esempio, gli atti di generosità: se sono autentici non hanno bisogno di essere sbandierati ai quattro venti, eppure sembra quasi che una determinata fascia di pubblico ci si attacchi morbosamente. Come se fare una donazione fosse un atto dovuto, con la scusa che si percepisce un compenso molto alto per il proprio lavoro. Come se questo fosse una colpa da espiare. Mi riferisco in particolare al caso che ha coinvolto suo malgrado Carlo Conti in occasione del Festival di Sanremo appena concluso. Non avendolo seguito assiduamente non starò a sindacare sulla qualità dello spettacolo, sulla canzone vincitrice eccetera, bensì voglio porre l’accento sulle polemiche che si sono scatenate prima ancora che iniziasse, e che riguardavano il compenso del sig. Conti per il suo lavoro di direttore artistico del Festival, quantificato in 650.000 euro. Scandalo, si è gridato. Tutti quei soldi per pochi giorni di lavoro, soldi nostri pagati col canone, vergogna, li dia in beneficenza. Cosa che poi è effettivamente avvenuta, con tanto di sbandieramento del bonifico di 100.000 euro in conferenza stampa. Si spera che così le polemiche si fermino, ma non è questo il punto. Il punto è che un fatto privato ha dovuto essere reso pubblico per forza. Non voglio difendere Carlo Conti perché immagino si sappia difendere benissimo da solo, ma qualcosa me la sento di dirla, a questo pubblico da reality show: tu, spettatore qualunque, pensi che un evento come può essere il Festival di Sanremo duri davvero solo pochi giorni per chi lo organizza e lo conduce? Quello che vedi tu, caro il mio spettatore, è solo il prodotto finito e confezionato per te in mesi di lavoro, hai capito bene, MESI, da parte del direttore artistico (sempre lui, Carlo Conti) e del suo staff, e se non ti piace sei libero di cambiare canale o di spegnere la TV e fare altro. È un qualcosa di talmente ovvio che è impossibile non arrivarci, eppure di fronte a certe cifre ce lo dimentichiamo facilmente. Chiunque sa, o può immaginare, che per organizzare anche “solo” una sagra della porchetta si svolge un lavoro che al pubblico rimane pressoché invisibile, ma che se non ci fosse…non esisterebbe la sagra. Per cui, il compenso del direttore artistico potrà anche sembrare alto, e in effetti lo è, ma NON è solo per quei 5 giorni (qualcuno ha anche messo in giro un’immagine in cui si tenta di dimostrare che Conti avrebbe preso al minuto più di Lionel Messi…per dire), comprende il lavoro di interi mesi. Da qui ci si può collegare al discorso donazioni e generosità: donare, se lo si fa col cuore, è un atto fortemente intimo, che si compie per star bene innanzitutto con se stessi e per provare a cambiare in meglio le cose. Proprio per questo è un qualcosa che dovrebbe rimanere nella sfera privata. Eppure, per spegnere le polemiche sul suo compenso, Carlo Conti ha dovuto mostrare a tutti di averne donata una parte. Ora, proviamo a fare un esempio, sperando sia calzante: immaginate di essere una super modella con un fisico da urlo, con cui Madre Natura è stata particolarmente generosa. Tutte le curve nei posti giusti, non un filo di smagliature, niente ciccia di troppo, tutto perfettamente naturale. Immaginate che stiate vivendo il momento perfetto della vostra carriera: tutti vi cercano, tutti vi offrono un lavoro, fanno a gara per avervi. Finché ad un certo punto arriva un ex fidanzato lasciato tempo addietro, prima ancora di iniziare la carriera, che vi dice:
“O vieni a letto con me, oppure dico a tutti che per fare carriera ti sei rifatta”.
Che fare? Non è vero ciò che dice, ma se andasse a raccontarlo in giro la vostra carriera rischierebbe il tracollo. Un ricatto in piena regola…così come è successo a Conti: vuoi rimanere popolare col pubblico? Allora mettiti a nudo, dimostra di aver fatto la donazione. Così, un fatto privato viene dato in pasto ai media e al pubblico, solo per una questione di quieto vivere. Un ricatto morale in piena regola.
È giusto?
A voi i commenti!

giovedì 9 febbraio 2017

LA DISSIPAZIONE DI UN PATRIMONIO

È di questi giorni la notizia di un appello, lanciato in questi giorni da alcune centinaia di professori, che pone l’accento su un problema piuttosto grave: gli errori-orrori grammaticali e ortografici commessi dagli studenti universitari. Ora, se una persona arriva all’università, si suppone che abbia le basi per esprimersi oralmente e per scritto: in fin dei conti all’università si sostengono esami, si preparano relazioni, si consultano abitualmente dispense scritte da altri e tomi non esattamente alla portata di chiunque. Eppure, dicono desolati i suddetti professori, negli atenei si assiste quotidianamente allo scempio della lingua italiana, con errori da scuola elementare, pardon primaria, ormai si chiama così.
Vi dirò, non è difficile da credere: sono stato anche io studente universitario, e ho conosciuto in prima persona colleghi con voti anche alti che faticavano a scrivere una relazione scritta comprensibile e avevano un vocabolario personale molto limitato. Non solo: a volte li ho visti arrabbiarsi (questo succede spesso anche nelle scuole di grado inferiore) perché un docente che so, di chimica, aveva corretto un errore grammaticale nella prova scritta abbassando il voto. “Non è il suo lavoro, mica insegna italiano, l’esercizio era giusto!”, questa è la reazione abituale quando succedono questi episodi, un tipico esercizio di paraculaggine con cui ci rifiutiamo di focalizzare il problema reale. Per citare una frase fatta, la situazione è la stessa di quando “il saggio indica la luna, ma lo stolto guarda il dito”. È ovvio che il docente di chimica corregge innanzitutto ciò che rientra nel suo campo di competenza, ma facciamoci questa domanda: è accettabile che, a livello universitario, ci sia impreparazione in campo grammaticale e ortografico? Prima di rispondere, pensiamo un attimo a quello che è, o dovrebbe essere, lo scopo dell’università: formare le menti migliori, aiutarle ad esprimere tutto il loro potenziale, preparare la classe dirigente del futuro.
Ecco.
Se colleghiamo quest’ultima affermazione con quanto scritto in precedenza, possiamo iniziare a tremare: la futura classe dirigente commette errori da scuola primaria, e neanche si preoccupa di correggerli. Viene da chiedersi, cosa faranno queste persone una volta che arriveranno effettivamente a dirigere qualcosa? Se in questi futuri dirigenti alberga questo atteggiamento di spocchia e superiorità nei confronti della cultura di base, che dirigenti potranno mai essere? C’è da aver paura a pensarci, poi basta ascoltare gli strafalcioni presenti nei discorsi di alcuni politici, e ci si rende conto che la frittata è bell’e che fatta: abbiamo mandato al potere gente (anche non laureata, ma questo è il meno) che non sarebbe neanche dovuta uscire dalla scuola primaria per manifesta impreparazione. Non solo: questo atteggiamento di superiorità e di arroganza si riscontra anche in frasi grammaticalmente corrette ma raggelanti, tipo “con la cultura non si mangia”, frase detta da un ex ministro dell’economia. Eccolo lì, il dialogo con la “pancia” dell’elettore medio: la cultura non ti nutre, per cui ne puoi anche fare a meno. Con tutte le conseguenze del caso: anche nella vita di tutti i giorni, si incontrano continuamente persone che non sanno esprimersi correttamente a voce o per scritto, e non perché non abbiano frequentato la scuola, ma perché semplicemente “cosa importa se scrivo bene, se non faccio errori di grammatica, se so usare il congiuntivo? Mica mi dà da mangiare, il congiuntivo!”; o ancora “io non leggo, non mi piace, ne ho già abbastanza dei libri di scuola”…e intanto il vocabolario personale si assottiglia sempre di più. Eccolo, il patrimonio che stiamo dissipando a più non posso: la nostra meravigliosa lingua, violentata quotidianamente da chiunque, a tutti i livelli. È stato raggiunto un grado impressionante di impreparazione e negligenza nel suo uso, solo perché “ma si, tanto si capisce cosa voglio dire”, oppure “sto commentando su Facebook, mica sto scrivendo un tema”. Si può quasi parlare di analfabetismo di ritorno, e la cosa grave è che colpisce tutti, perfino chi scrive le leggi dello Stato, che produce così testi incomprensibili, come denunciato dal presidente del Senato Grasso. Siamo arrivati a questo: abbiamo svalutato la nostra lingua, e più in generale la cultura personale, e così ci ritroviamo con aspiranti dirigenti magari anche preparati nel loro campo, ma fondamentalmente “somari”. Un paradosso che non promette nulla di buono. Non starò a sindacare ora sulle cause di questo declino, ma penso che, se vogliamo invertire la tendenza, il cambiamento debba partire dal basso, da ciascuno di noi: leggiamo un libro in più, arricchiamo il nostro vocabolario, risolviamo quel dubbio grammaticale od ortografico che magari ci tormenta dai tempi della scuola: così facendo, magari ci ricorderemo meglio di esigere la stessa chiarezza e lo stesso rigore da parte di chi ci governa. Alla faccia di chi dice che “con la cultura non si mangia”, e magari fa di tutto per alimentare l’ignoranza.


A voi i commenti!

INTRODUZIONE

“Homo sum, humani nihil a me alienum puto”

Questa frase viene dalla commedia “Heautontimorumenos” (“Il punitore di se stesso”), scritta dall’autore latino Terenzio nel II secolo a.C., e si può tradurre così:
“Sono un essere umano, e niente di ciò che è umano mi è estraneo”.
Una frase piuttosto importante: non significa infatti “sono un essere umano, per cui so tutto delle cose umane”, bensì “sono un essere umano, per cui tutto ciò che è umano mi riguarda”. A riprova di questo significato, nell’opera di Terenzio questa frase viene pronunciata in risposta ad una battuta di uno dei personaggi, che invitava l’altro a farsi i fatti suoi, ricevendone così un cortese rifiuto. Cremete, il nome che appare nell’URL di questo blog, è proprio il personaggio dell’Homo sum.
Nel nostro mondo iper-connesso, questa frase vecchia di secoli è attualissima: quasi tutti ormai hanno uno o più profili sui social network e sanno usare i motori di ricerca, con un clic possiamo sapere tutto e il contrario di tutto su un dato argomento, da fonti più o meno affidabili. Una notizia esce in rete, e in pochi clic fa il giro del mondo: magari amplificata, rilanciata pari pari, o anche manipolata, urlata, distorta o addirittura inventata. Più connessioni social abbiamo, e più siamo soggetti ad un flusso continuo di informazioni.
Il motivo che mi ha spinto a mettere per iscritto una manciata di riflessioni è semplice: senza presunzione, ma con tanta voglia di capire, ritengo che nulla di ciò che accade nel mondo mi sia estraneo. Non solo: non riguarda solo me, ma ciascun individuo, di qualunque nazionalità, età, razza, etnia, sesso, religione e appartenenza culturale.
Di cosa si parlerà in questo spazio virtuale? Tutto dipende dalla “luna” del sottoscritto, compatibilmente con il tempo a disposizione, e con la dimestichezza che man mano prenderò con questo strumento. Ovviamente tutto ciò che pubblicherò non pretenderà mai di essere verità assoluta, ma costituirà semplicemente il mio personalissimo punto di vista su un dato argomento. Così come, per quanto mi sarà possibile, non compariranno solo articoli su argomenti seriosi di attualità, ma anche pezzi un po’ più leggeri.
In futuro potranno apparire banner pubblicitari, siete liberi di cliccarci sopra come di ignorarli o oscurarli. Qualunque sia l’argomento di questi banner, sappiate che il sottoscritto non ha alcun controllo sulla loro tipologia.
Resta sottinteso ovviamente che in questo blog la prima regola è l’educazione: al primo accenno di rissa virtuale scatta l’ammonizione, la seconda volta tiro fuori il cartellino rosso. Suvvia, siamo un popolo di calciofili, non credo che sia così difficile da capire, né credo di chiedere troppo.
Buona navigazione e buona lettura.