Visualizzazione post con etichetta sicurezza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sicurezza. Mostra tutti i post

venerdì 4 agosto 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-PARTE 5 (APPENDICE TECNICA)

Clicca qui per leggere il capitolo precedente

Nei capitoli precedenti ho cercato di esporre, nella maniera più chiara ed esaustiva possibile, quella che è stata la storia dell'amianto e dell'altissimo prezzo che stiamo ancora pagando a causa della sua nocività, e del comportamento inqualificabile di chi sapeva, ma ha preferito tacere, insabbiare e negare in nome del guadagno. In quest'ultimo capitolo cercherò invece di dare qualche informazione tecnica su questo materiale.
Intanto, è doverosa una precisazione: sotto la definizione generica di "amianto", o "asbesto", ricadono in realtà diversi tipi di minerali. Un po' come la "plastica", che racchiude in realtà un'infinità di materiali diversi. I vari tipi di amianto utilizzati a livello industriale hanno un denominatore comune: sono tutti cancerogeni.
Di seguito l'elenco dei vari tipi di amianto presenti in natura:
  • Crisotilo (amianto bianco)
  • Amosite (amianto bruno)
  • Crocidolite (amianto blu)
  • Antofillite
  • Tremolite (non cancerogena nella sua forma standard)
  • Actinolite (idem)
Il crisotilo (dal greco "fibra d'oro") o amianto bianco, è il tipo più diffuso e ricercato di amianto (fonte: Wikipedia)
Senza entrare troppo nel dettaglio, ognuno di questi minerali è stato utilizzato per nelle più svariate applicazioni tecniche, dall'edilizia alla meccanica passando per l'industria alimentare. E' quindi facilmente comprensibile che, viste la loro tossicità e la loro diffusione capillare, il problema di renderli innocui sia diventato di fondamentale importanza.
In questo senso, sono possibili tre modalità: la semplice rimozione, il confinamento, o l'incapsulamento.

Nel primo caso si elimina alla radice la fonte di rischio, ma al prezzo di esporre a loro volta gli operatori specializzati al rischio di inalazione delle fibre di amianto. Il che significa dover prevedere l'uso e la manutenzione di DPI (dispositivi di protezione individuale) specifici, seguendo rigidissimi e rigorosi protocolli.
Embed from Getty Images

Operai al lavoro su una copertura in amianto. Si noti come l'intero corpo debba essere protetto per evitare contatti pericolosi col materiale.


Nel caso del confinamento, il tutto si svolge progettando e costruendo barriere fisiche o altri dispositivi analoghi che isolino l'amianto dal resto dell'ambiente, impedendo così il contatto fisico, e quindi l'inalazione delle fibre nocive. Se si decide di procedere al confinamento, bisogna anche prevedere e definire un programma di controllo e manutenzione delle barriere, per prevenirne l'eventuale perdita di efficacia nel corso del tempo. Questa procedura, per essere efficace, deve essere abbinata all'incapsulamento: esso consiste nel trattamento con prodotti penetranti o ricoprenti, che creano uno strato protettivo. Una sorta di verniciatura, in cui le fibre tossiche vengono bloccate sotto lo strato di materiale aggiunto.

Esiste poi un ulteriore processo, sviluppato in Italia nella metà degli anni '90, chiamato nodulizzazione: esso prevede la macinazione dei componenti in amianto (con annessa separazione da eventuali parti metalliche), e la sua miscelatura con collanti e aggreganti cementizi. Il risultato di questo processo consiste in particelle (noduli) del diametro di circa 15 mm, utilizzabili in edilizia come materiale inerte. Al momento, è stato osservato come i noduli di circa 10 anni di età non presentino problemi di sorta, e continuino ad imprigionare efficacemente le fibre nocive.

Da questa sommaria analisi, si può intuire come il problema delle bonifiche sia quanto mai attuale, e dovrebbe dissuadere nazioni e grandi industrie dal continuare l'estrazione e l'utilizzo di amianto.

Purtroppo, non è così.

Se da un lato molte nazioni hanno dichiarato l'amianto fuorilegge, dall'altro ci sono alcune zone del mondo in cui l'attività estrattiva e di lavorazione è autorizzata e continua a prosperare: Cina, India, Russia, Kazakistan, Brasile ed altre nazioni continuano a produrre ed esportare amianto destinato soprattutto ai Paesi in via di sviluppo ma tra gli acquirenti, nonostante le leggi in vigore, ci sono anche nazioni progredite, tra cui l'Italia.

Ebbene sì.

Nonostante tutto, il nostro Paese non ha ancora imparato la lezione. Cavilli politici, inerzia, avidità, orecchie da mercante delle parti coinvolte fanno sì che le grandi conquiste in campo giuridico e medico-legale in materia molte volte rimangano solo sulla carta e vengano sostanzialmente ignorate, con conseguenze molto, molto gravi.

Uno dei primi doveri di uno Stato di diritto è quello di tutelare chi ci vive, non solo con leggi e provvedimenti ad hoc, ma anche con la loro applicazione sistematica ed efficace. Questo, nel caso dell'amianto e non solo, spesso non avviene. Non starò ad elencare i motivi di questa situazione perché ci vorrebbe un'enciclopedia dedicata, ma in mancanza di tutela "dai piani alti", è giusto che le coscienze si smuovano "dal basso". 
Nel caso dell'amianto questo è già avvenuto in occasione del processo Eternit, ma è necessario fare un ulteriore passo: in economia, da sempre il potere è nelle mani di chi ha denaro, quindi chi ha potere d'acquisto. In parole povere, una soluzione non violenta al problema consiste nell'informazione (circostanziata, non fatta così tanto per far rumore!) e nel boicottaggio senza tregua e a tutto campo: sei un'azienda, o una banca, e hai a che fare con la produzione di amianto e derivati? Benissimo, non avrai mai i miei soldi finché la situazione è questa.
Embed from Getty Images
Un ex operaio della Eternit di Casale Monferrato durante il processo contro il magnate Stephan Schmidheiny. A destra, familiari delle vittime di mesotelioma e malattie asbesto-correlate

Sarei pronto a scommettere che un'azione del genere, fatta su larga scala, sarebbe di sicuro effetto e cambierebbe la situazione in meglio, perché andrebbe a colpire dritti dritti al portafoglio i diretti interessati, costringendoli a cambiare rotta...pensiamoci!!!

A voi i commenti!

FONTI:

lunedì 3 luglio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 4

Clicca qui per leggere la terza parte

Anni '70 e '80: le voci sulla presunta pericolosità dell'amianto e dei suoi derivati stanno uscendo dall'ambito ristretto della medicina del lavoro, diffondendosi così anche tra la popolazione, che quindi comincia a diffidare e a chiedere risposte. Le grandi industrie, vedendo minacciati i propri interessi economici, fanno di tutto per insabbiare la verità attuando campagne di contro-informazione (ma sarebbe più corretto dire "disinformazione") e di pressioni a livello anche politico, per evitare l'emanazione di regolamenti restrittivi. E' in un ambito come questo che si inseriscono personaggi come Stephan Schmidheiny e il barone Cartier de Marchenne: due nomi che in Italia abbiamo imparato a conoscere nell'ambito del processo Eternit, in cui, finalmente, sono emerse le loro nefandezze. Schmidheiny, a dispetto dell'aura filantropica che si è costruito negli anni, nella vicenda Eternit ha mostrato tutt'altro volto: quello di un imprenditore completamente privo di scrupoli, che ha esposto consapevolmente le proprie maestranze al pericolo mortale rappresentato dalle fibre di amianto. Questo personaggio infatti divenne amministratore delegato della Eternit all'inizio degli anni '70, quando ormai la pericolosità di questo materiale era nota a tutti i grandi manager e industriali del settore. Come poteva non sapere? Impossibile, ed infatti nelle carte del processo emerge la volontà di "mettere a tacere" gli operai dando loro delle mascherine inefficaci, ma che sortivano un notevole effetto psicologico. Solo dopo si scoprirà che quei mezzi di protezione nulla potevano contro le fibre di amianto, troppo sottili per essere fermate.

Il procuratore Raffaele Guariniello: grazie alla sua opera è stato possibile portare in giudizio Stephan Schmidheiny e il barone De Marchenne

Tutto questo ha portato a formulare l'accusa di omicidio volontario: un reato per cui non esiste prescrizione e che, se fosse rimasta in piedi l'accusa, avrebbe fatto finire Schmidheiny dritto sparato in galera, anche senza le altre accuse come quella di disastro ambientale per cui, purtroppo, la prescrizione è invece intervenuta. Purtroppo, l'accusa è stata de-rubricata ad omicidio colposo a fine novembre 2016. Il che significa ricadere nell'incubo prescrizione anche per i morti di Casale Monferrato, Bagnoli, Cavagnolo e Rubiera.
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, ci si può rifare alle parole dell'ex-procuratore Raffaele Guariniello, vera anima del processo Eternit, il primo che ha osato sperare di poter fare giustizia in un caso tanto spinoso: stando alle sue parole infatti, ora il magnate svizzero (che aveva cercato di salvarsi offrendo un risarcimento, rifiutato, al comune di Casale Monferrato) dovrà rispondere di ogni caso, attuale e futuro, di morte per malattie asbesto-correlate tra i suoi ex dipendenti e tra gli abitanti delle città in cui sorgevano i suoi stabilimenti. Questo infatti ha stabilito la Corte Costituzionale.

Nel frattempo, l'anziano barone Cartier de Marchenne è deceduto: personalmente, non mi sento di augurargli di bruciare eternamente all'inferno, non spetta a me decidere. Tuttavia, mi piace pensare che, una volta morto, si sia trovato di fronte le anime di tutti coloro di cui ha causato la morte per la sua avidità...e che sia stato punito di conseguenza.

Tornando sulla terra, sperando che la giustizia umana faccia VERAMENTE il suo corso e il "filantropo" Schmidheiny paghi le sue colpe, c'è un grosso neo: la prescrizione del reato di disastro ambientale che, nel caso specifico, non avrebbe alcun senso. Il disastro infatti è tuttora in corso: nelle cittadine che ospitavano gli stabilimenti Eternit il rischio rappresentato dal "polverino" di amianto è quanto mai reale ed attuale, molti edifici anche pubblici sono stati costruiti con elementi in eternit, senza contare i pazzi incoscienti che, spaventati dai costi di smaltimento, si sbarazzano in aperta campagna di pericolosissime lastre scheggiate, libere di rilasciare nell'ambiente le loro fibre mortifere. Perché è questa la situazione più pericolosa: se il pezzo contenente amianto è integro, lo si può considerare innocuo, almeno nel breve periodo. Il problema però è che siamo di fronte a una bomba ad orologeria, pronta ad innescarsi alla prima crepa.

Che fare dunque? Come affrontare questo nemico tanto subdolo?

CONTINUA...


venerdì 26 maggio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 3

Clicca qui per leggere la parte 2

1952: sessant'anni dopo la nascita dei primi sospetti sulla nocività dell'amianto, il velo di omertà sull'argomento iniziò ad assottigliarsi, ad opera del dott. Knox. Costui, assistendo ad un convegno del famigerato laboratorio Saranac (quello delle ricerche "vendute" alle aziende dell'amianto), intuì che c'era molto di più da sapere rispetto a quanto si raccontava ufficialmente, e così chiese aiuto all'epidemiologo Richard Doll.

Doll condusse una ricerca presso lo stabilimento Turner&Newall di Rochdale (dove aveva lavorato e si era ammalata Nellie Kershaw, e dove lavorava anche Knox). Nel 1955 Doll completò il lavoro stabilendo senza ombra di dubbio la connessione tra amianto e mesotelioma, ma la Turner&Newall si oppose fermamente alla pubblicazione. L'unico modo per aggirare l'ostacolo fu quello di omettere la firma di Knox, il cui nome comparve indirettamente nei ringraziamenti.

Nel frattempo, si erano aperti altri fronti: negli anni 40 in Sudafrica, un medico che lavorava nei pressi di una miniera di amianto blu (una particolare varietà del minerale) notò un insolito proliferare del mesotelioma tra i suoi pazienti, e decise di sottoporre il caso ad alcuni epidemiologi. Il quadro che ne emerse fu terrificante: i casi di mesotelioma e asbestosi non riguardavano soltanto i minatori, ma anche estranei, magari persone che abitavano nei pressi, o che avevano giocato da bambini tra gli scarti della miniera.

Questo studio, uscito nel 1960, diede l'impulso ad altri medici per compiere ulteriori ricerche: nel 1964 il dr. Selikoff presentò un lavoro in un convegno all'Accademia delle Scienze di New York, in cui emergeva la presenza del mesotelioma non solo nei lavoratori dell'industria dell'amianto, ma anche in persone che poco o nulla avevano a che fare con tale ambito. Questa circostanza fu confermata da un'indagine del londinese Newhouse, in cui emerse che, dei casi esaminati, circa la metà riguardava persone estranee all'industria dell'amianto, ma quasi tutti avevano convissuto con un lavoratore di quest'industria, o abitavano a poca distanza da uno stabilimento. Da qui, iniziò a circolare l'ipotesi che le fibre di asbesto fossero pericolose anche a basse concentrazioni.

Tornando al dr. Selikoff, come prevedibile, il suo lavoro incontrò l'ostilità e l'ostracismo dei colossi dell'amianto, che fecero di tutto per difendersi, sia cercando di corromperlo (senza riuscirci), sia organizzando campagne di propaganda e contro-informazione per contrastare la diffidenza crescente verso il materiale. Essi sottolinearono che l'amianto aveva risolto molti problemi della vita quotidiana, e che questi benefici superavano di gran lunga i presunti rischi. Non mancarono nemmeno le pressioni a livello politico, al fine di impedire che venissero varati regolamenti restrittivi, tali da pregiudicare i profitti delle industrie.

Tuttavia, i loro sforzi ebbero effetto sempre minore: nel 1969 l'Inghilterra e l'Australia vietarono l'utilizzo dell'amianto blu, mentre le ricerche compiute nel corso degli anni si diffondevano sempre più a livello europeo. Nel 1977, l'amianto fu etichettato come "cancerogeno certo" dall'Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro di Lione. Nonostante questo, la lotta dei colossi dell'amianto contro quella che ormai era una verità acclarata durò ancora a lungo.

martedì 16 maggio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 2

Clicca qui per leggere la prima parte

Nella prima parte abbiamo visto l'ascesa dell'amianto in campo industriale e civile, e i primi problemi che essa ha comportato per la salute dei lavoratori: il caso di Nellie Kershaw rappresenta un esempio emblematico di ricerca esasperata del profitto e di negazione ad ogni costo della pericolosità di questo materiale, fino alla resa davanti all'evidenza clinica. Le particelle di amianto non erano certo finite da sole nei polmoni di Nellie e degli altri lavoratori che presentavano identici sintomi, per cui questa vicenda portò al varo sul suolo britannico di un primo regolamento a tutela dei lavoratori stessi. Fu un traguardo terribilmente faticoso da raggiungere: i primi sospetti sulla nocività dell'amianto erano emersi già molti anni prima del caso Kershaw, ma insabbiamenti, interessi economici e negligenze assortite rallentarono in maniera drammatica la ricerca della verità.

Ora, questa vicenda avrebbe dovuto, in teoria, essere di esempio: pur essendo un materiale estremamente utile e versatile, l'amianto andava trattato con cautela. Magari, visto l'inciampo causato dalla scoperta dell'asbestosi, sarebbe valsa la pena condurre studi più approfonditi. Cosa che, udite udite, fu fatta...nella Germania nazista.

Ebbene sì. Gli scienziati del Terzo Reich si erano insospettiti per via della proliferazione, tra i lavoratori dell'amianto, di un tipo di tumore particolarmente raro ed aggressivo: il mesotelioma. Certo, il lunghissimo periodo che può trascorrere tra l'esposizione alle fibre nocive e l'insorgenza della malattia non aiutò la comprensione del problema, né, all'epoca, era disponibile un sistema rapido ed efficace di elaborazione dei dati (il computer e Internet sarebbero venuti molti anni dopo). Eppure, già nel 1937, erano riusciti a stabilire con certezza la correlazione tra amianto e mesotelioma e, nel 1943, il governo tedesco approvò il riconoscimento di un indennizzo per malattia professionale ai lavoratori malati. La guerra in corso, e tutte le sue conseguenze, fece sì che questa ricerca perdesse di credibilità e cadesse nell'oblio per molti anni.

Pare assurdo dirlo, ma nel caso dell'amianto e delle malattie ad esso correlate, il regime hitleriano tenne un comportamento esemplare (ovviamente solo verso alcune categorie di persone: gli internati venivano mandati a lavorare nelle fabbriche di amianto senza troppi problemi). A differenza di altri governi: negli Stati Uniti, furono condotti studi che conducevano alle medesime conclusioni a cui erano arrivati tedeschi e inglesi, ma purtroppo il loro scopo era ben diverso, a causa principalmente di chi li svolse per primo: il dott. Anthony Joseph Lanza. 
Costui, dopo aver lavorato per il servizio di salute pubblica ed essersi fatto le ossa tra i malati di tubercolosi e i problemi derivanti dall'inalazione delle polveri, passò alle dipendenze della Metropolitan Life Insurance Company, il cui scopo era quello di offrire assistenza medico-legale ad imprese ed assicurazioni. 
Nel 1929, fu incaricato dai suoi datori di lavoro (per conto delle principali industrie dell'amianto) di scoprire se la fantomatica asbestosi esistesse veramente. Lo scopo del suo studio però non era tanto quello di tutelare la salute dei lavoratori, bensì aiutare le imprese a mettersi al riparo da eventuali azioni legali. Il tutto alla faccia della sua etica di medico, e in nome del profitto.
La pubblicazione del suo lavoro, avvenuta nel 1931, subì fortissimi condizionamenti da parte delle industrie clienti, che fecero in modo di edulcorare le conclusioni di Lanza, evitando la pubblicazione degli allarmanti dati emersi.

Finita qui? Macché. Nel 1932, Lanza proseguì la sua opera di anima nera richiedendo ad un collega dell'US Bureau of Mines di eseguire radiografie su alcuni lavoratori dell'amianto, pregandolo però di tenerne riservati gli esiti. L'anno successivo, il medico del Bureau of Mines, probabilmente in crisi di coscienza, chiese a Lanza se non fosse il caso di avvertire i lavoratori, in modo che potessero tenere comportamenti atti a diminuire il rischio. Quest'ultimo, anche alla luce del suo ruolo tutto a favore delle aziende produttrici, rispose negativamente.

Dulcis in fundo, la ditta Johns-Manville (una delle committenti dello studio pubblicato nel 31) decise di eseguire controlli periodici sulle concentrazioni di polveri d'amianto nel suo stabilimento, sempre per ripararsi dalle azioni legali, che si facevano via via più numerose. Lanza, sempre lui, raccomandò il laboratorio Saranac di New York per eseguire questi controlli. Lo studio, foraggiato anche da altre aziende, era però vincolato da un contratto di proprietà: in pratica, tutti i suoi risultati e conclusioni diventavano di esclusiva proprietà delle aziende committenti, le quali potevano disporne come meglio credevano. Incluso, naturalmente, il diritto di censura totale o parziale su un'eventuale pubblicazione.

Un'omertà degna delle peggiori organizzazioni mafiose.

Nel 1952, finalmente, il muro di silenzio cominciò a scricchiolare, ad opera dei dott. Knox e Doll...

martedì 9 maggio 2017

UN ABBRACCIO MORTALE-parte 1

Quante volte, nella nostra vita, facciamo scelte che si rivelano sbagliate a posteriori?

Magari diamo fiducia ad una persona, ci fidiamo, ci confidiamo...ed essa ci ricambia nel peggiore dei modi.

Ecco, non accade solo con le persone, ma anche con la scienza e con la tecnica: abbiamo fatto una scoperta importante, è uscita una tecnologia nuova che ci ha cambiato la vita, tutti ci hanno guadagnato, dai produttori ai consumatori, e poi...

E poi ci sbatti la faccia nel peggiore dei modi, perché si scopre che ci sono dei problemi. Magari irrisolvibili. Magari chi guadagna da questa innovazione lo sa, e non te lo dice per anni; e magari le conseguenze sono letali...

Come nel caso dell'amianto.

Alla fine dell'800, la scoperta dei possibili impieghi di questo materiale, molto comune in natura nelle sue varie forme, equivalse alla scoperta del Sacro Graal: è fonoassorbente, ha una buona resistenza a trazione, resiste al fuoco ed al calore, isola dall'elettricità...insomma, non un materiale qualsiasi da costruzione, ma IL materiale da costruzione per eccellenza. Non solo: esso ebbe una fortuna enorme in campo industriale, trovando applicazione nei filtri delle maschere antigas, nel processo di filtrazione del vino, nelle stazioni di saldatura (come isolante termico), negli impianti frenanti, nelle tute anti-fuoco dei pompieri...e in moltissimi altri casi. Ci si può quasi azzardare a dire che la scoperta dei possibili impieghi dell'amianto equivale, da sola, ad una mezza rivoluzione industriale.

Solo che...

Solo che, come spesso accade, un progresso così marcato e sconvolgente ha un prezzo da pagare. Nel caso dell'amianto il conto si è rivelato salatissimo, e a tutt'oggi non sappiamo ancora a quanto ammonti e quando finiremo di pagarlo.

Che le fibre di questo materiale siano pericolose lo si sa da molto tempo: il primo caso documentato di malattia professionale da esposizione risale al 1924, quando Nellie Kershaw, operaia presso la Turner Brothers Asbestos di Manchester, morì un anno e mezzo dopo essere stata dichiarata malata ed inabile al lavoro dal dr. Walter Joss, a causa di un'intossicazione da amianto. Per tutto questo periodo, la povera Nellie smosse mari e monti per ottenere un indennizzo dai suoi titolari, ma essi rifiutarono di riconoscerle alcunché, negando a priori la pericolosità del materiale, ed attaccandosi al fatto che, all'epoca, tale presunta pericolosità non era stata certificata da alcuno studio. La loro meschinità fu tale che rifiutarono persino di contribuire alle spese per il suo funerale, con la scusa di "non creare un precedente pericoloso". Tuttavia, la diagnosi del dr. Joss ebbe il merito di smuovere le acque: il coroner E. N. Molesworth fu, di fatto, obbligato ad aprire un'inchiesta per "morte sospetta". L'autopsia, condotta dal dr. Mackichan, inizialmente attribuì la morte di Nellie a "tubercolosi e collasso cardiaco", ma l'analisi al microscopio dei polmoni diede la svolta: l'esame, condotto dal dr. Cooke, evidenziò "vecchie cicatrici dovute ad una tubercolosi curata" e, in più, una vasta fibrosi, in cui erano visibili "particelle di natura minerale di varie forme, ma quasi tutte con angoli appuntiti". Il confronto con alcuni campioni di polvere fece definitivamente luce sul caso: erano particelle di amianto, che avevano causato la fibrosi polmonare, e quindi la morte, di Nellie Kershaw.


Nellie Kershaw (1891-1924), prima vittima riconosciuta dell'asbestosi (immagine tratta da en.wikipedia.org)
Interrogato in merito, il dr. Joss riferì di vedere 10-12 casi simili all'anno, tutti in lavoratori esposti a polveri di amianto. Nel 1927 il dr. Cooke, pubblicando il caso di Nellie, coniò il termine "asbestosi polmonare".
In seguito al caso Kershaw, il parlamento inglese non stette con le mani in mano, ed aprì un'indagine, il cui risultato stabilì che il 66% degli operai esposti all'amianto per 20 anni o più avevano sviluppato l'asbestosi. Da qui si procedette all'emanazione di un primo regolamento per l'industria dell'amianto, che ebbe effetto sul suolo britannico a partire dal 1 marzo 1932.

Il peggio, però, doveva ancora arrivare...


venerdì 21 aprile 2017

IL PREZZO DEI SOGNI

Notizia arrivata dalla pista di Donington Park, Inghilterra: il pilota 17enne Billy Monger, partecipante al campionato locale di Formula 4 e considerato un buon talento in ottica futura, ha avuto un terribile incidente di gara: ha tamponato a tutta velocità l'auto di un avversario, rimasta ferma in traiettoria dopo un testacoda. Il tutto è successo in pochi attimi, lui non ha potuto far niente per schivare l'ostacolo, e i commissari di gara non hanno avuto neanche il tempo di sventolare le bandiere gialle di pericolo.

Di incidenti, in questo genere di gare, se ne vedono parecchi: irruenza, inesperienza, cattiveria agonistica e voglia di emergere la fanno da padrone nelle categorie minori dell'automobilismo, dove piloti poco più che ragazzini sognano di essere, un giorno, i nuovi Max Verstappen, Lewis Hamilton o Sebastian Vettel, giusto per citare i nomi più in voga attualmente. Il tutto a carissimo prezzo, dal punto di vista finanziario (l'automobilismo è uno sport per ricchi fin dai suoi albori), ma anche della sicurezza. Normalmente infatti, incidenti del genere si risolvono con macchine semidistrutte e grossi spaventi. Non stavolta. Stavolta l'abitacolo della macchina di Billy Monger è stato completamente divelto all'altezza delle gambe, tanto che ci sono volute due ore per estrarlo dal relitto e portarlo in ospedale. Lì, purtroppo, i medici han dovuto amputargliele entrambe al di sotto del ginocchio. Una sfortuna terribile: per fare un esempio, a fine anni '80 il pilota Johnny Herbert andò a sbattere contro le barriere mentre aveva le gambe a penzoloni dall'abitacolo per un precedente urto. Ebbene, se la cavò con una menomazione nella camminata che però non gli impedì di arrivare in Formula Uno, e di restarci per diversi anni. Stavolta invece, questo giovane pilota ha dovuto pagare un prezzo altissimo: carriera probabilmente stroncata, e riabilitazione lunga e difficile. 
Billy Monger alla guida della sua vettura di Formula 4 
(fonte: pagina Facebook ufficiale del pilota)
Di positivo, in questa storia, c'è la reazione del mondo delle corse: molti piloti di Formula Uno si sono mossi in prima persona per aiutare finanziariamente il loro giovane collega e la sua famiglia a superare questo momento drammatico. Una riflessione però è doverosa: questi ragazzi (e le loro famiglie) spesso affrontano sacrifici enormi per assecondare le loro passioni, nelle categorie minori è il pilota a dover trovare dei soldi se vuole avere una possibilità di dimostrare il suo talento. E' un investimento a forte rischio, perché sono pochi poi i ragazzi che riescono ad arrivare al vertice dell'automobilismo sportivo, bisogna essere abili e fortunati. Ora, in tutto questo, è accettabile che un ragazzo di 17 anni ci rimetta le gambe perché la scocca della sua auto non ha retto ad un tamponamento?

Nelle categorie superiori (Formula 1, ma anche GP2 per esempio) si vedono incidenti terrificanti in cui però l'abitacolo (la cosiddetta "cellula di sopravvivenza") regge perfettamente al botto riducendo al minimo il rischio di infortuni. Sono lontani ormai i tempi in cui i piloti della massima formula rischiavano di fratturarsi le gambe per un urto frontale. Per fare un esempio, l'ultimo a subire un incidente del genere fu Michael Schumacher nel 1999 a Silverstone. Soltanto due anni dopo, il brasiliano Burti sbatté frontalmente ai 300 orari contro un muro di gomme, uscendone stordito ma pressoché illeso. Il che significa che, se c'è la volontà di farlo, si può sempre migliorare la sicurezza passiva. Nel caso di Billy Monger e delle vetture di Formula 4, abitacoli più robusti comporterebbero molto probabilmente costi maggiori ma, a mio parere, starebbe agli organizzatori trovare una soluzione per evitare altri infortuni del genere mantenendo parametri economici ragionevoli.

A voi i commenti, e in bocca al lupo a Billy Monger!!