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domenica 19 febbraio 2017

UNA VITA DA FILM: LA STORIA DI WILLIAM GROVER-WILLIAMS

SECONDA PARTE

William Grover-Williams: pilota di successo agli albori dell’automobilismo sportivo, seppe ritagliarsi un ruolo da protagonista anche durante la seconda guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto infatti, rispose alla chiamata alle armi dell’esercito britannico in cui, dati i suoi trascorsi, gli venne assegnata la mansione di autista sul fronte belga. 

Fu proprio in questo ruolo che si mise in luce una prima volta: durante il disastro di Dunkerque (in cui l’intera armata britannica in Francia fu costretta a scappare lasciandosi dietro armi ed equipaggiamento per non cadere prigioniera dei tedeschi), William finì tagliato fuori dall’accerchiamento, e riuscì a portare in salvo un generale attraverso la Bretagna grazie alle sue doti di pilota. Questa prima impresa, unita ad un bilinguismo perfetto (aveva vissuto in Inghilterra all’epoca della Grande Guerra), gli spalancò le porte dello Special Operations Executive (SOE): Un’organizzazione talmente segreta che ufficialmente non esisteva nemmeno, e che aveva lo scopo di organizzare azioni di spionaggio e sabotaggio nei territori occupati dai nazisti. Per avere un’idea del livello di segretezza del SOE, si pensi che i documenti che lo riguardano sono stati declassificati soltanto nel 1997.

Dopo un apposito addestramento, William fu paracadutato in territorio francese nel 1942, e fu lì che scoprì di essere completamente solo: la rete di spionaggio esistente era stata annientata dai nazisti nell’autunno del 1941, perciò dovette lavorare in gran segreto per ricostruire tutto da zero. Dopo aver aspettato inutilmente rinforzi, Grover-Williams contattò Benoist, che accettò di aiutarlo. I due riuscirono a costruire una rete di resistenza nella zona di Parigi, riuscendo anche a portare a termine alcuni sabotaggi, in particolare ai danni di uno stabilimento Citroen. La loro attività insieme durò fino al 1943 quando, traditi da Maurice (fratello di Robert), furono arrestati dalla Gestapo. Benoist riuscì a scappare gettandosi da un’auto in corsa, e riuscendo a raggiungere l’Inghilterra: tornato in Francia, arruolò nella resistenza Jean-Pierre Wimille, altro ex-pilota ma, nel 1944, fu nuovamente arrestato e imprigionato a Buchenwald, dove fu ucciso insieme ad altri agenti segreti.

Grover-Williams purtroppo non riuscì a scappare: dopo aver subito torture e interrogatori fu deportato a Sachsenhausen dove, stando alle testimonianze dei pochi sopravvissuti, non sarebbe stato più visto dopo il 18 marzo del 1945; è assai probabile che sia stato ucciso insieme a Francis Suttill, altro membro del SOE che era prigioniero nella cella accanto alla sua. Dei tre piloti coinvolti in questa storia l’unico a sopravvivere alla guerra fu Wimille, ma anche per lui il destino era in agguato: morì nel rogo della sua vettura durante le prove del Gran Premio di Argentina del 1949.

Fin qui la storia certa di un uomo che, dopo aver affrontato i pericoli dei Gran Premi degli anni 20 e 30 dove la morte in pista era all'ordine del giorno, diede il suo contributo alla liberazione della Francia mostrando tutto il suo coraggio. Fosse stato un personaggio qualsiasi, sarebbe tutto finito con la morte a Sachsenhausen e l’iscrizione del suo nome sul monumento agli agenti del SOE caduti per la Francia. Invece, dopo il conflitto iniziarono a circolare delle voci, proprio come quando era in vita. Qualcuno disse di aver incontrato un tale che ai gran premi firmava autografi a nome “Williams”, ma l’ipotesi più clamorosa si fece largo quando il giornalista Robert Ryan e il produttore cinematografico Jack Bond pubblicarono una storia sul Sunday Times. Secondo la loro teoria, Grover-Williams non sarebbe stato ucciso a Sachsenhausen, bensì trasferito nel campo di Rawicz, liberato dopo poco tempo dall’Armata Rossa. Una volta libero, William avrebbe prestato servizio nell’MI6 (il servizio segreto britannico) nel biennio 1946-47, e sarebbe poi tornato dalla moglie sotto la falsa identità di Georges Tambal. In seguito alla morte di Yvonne nel 1973, Georges/William si sarebbe trasferito ad Agen dove sarebbe morto nel 1983, investito dalla Mercedes di un turista tedesco durante una passeggiata in bicicletta.

Questa storia, pur avvincente e ripresa da più parti sul web, è stata smontata dal fratello di William, Frederic, che ne ha confermato la morte in prigionia. Un’altra smentita è arrivata dal Bugatti Trust, la fondazione che si occupa della storia del marchio Bugatti. Secondo il curatore Richard Day, il fondatore del Bugatti Trust Hugh Conway si recò a casa di Yvonne e incontrò personalmente il misterioso Tambal ma, a detta del figlio Hugh Conway Jr., se fosse davvero stato William lo avrebbe senz’altro riconosciuto.

È difficile dire dove finisca la verità e dove inizi la leggenda: probabilmente, il racconto di Ryan e Bond è solo speculazione, come affermato a gran voce dagli storici del mondo Bugatti. A noi rimane la storia di un uomo che ha vissuto una vita intensa, sempre al limite, e che non ha esitato a mettersi in gioco e a correre dei rischi terribili. Una vita da film, e chissà che prima o poi qualcuno non lo giri veramente, un film su questo campione dimenticato. Per ora esiste il libro “Grand Prix Saboteurs” di Joe Saward dedicato alle imprese di Grover-Williams, Benoist e Wimille; in italiano Grover-Williams è citato in “Meccanica celeste” di Maurizio Maggiani.

A voi i commenti!


William Grover-Williams
Robert Benoist
Jean-Pierre Wimille
       


(immagini tratte da Wikipedia)


giovedì 16 febbraio 2017

UNA VITA DA FILM: LA STORIA DI WILLIAM GROVER-WILLIAMS

Prima parte

Campo di concentramento di Sachsenhausen, 18 marzo 1945: stando alle informazioni ufficiali, intorno a questa data fu ucciso il capitano William Grover-Williams, ex pilota automobilistico; un nome che dice poco anche alla maggioranza degli appassionati. Qualcuno magari ricorda che fu lui a vincere la prima edizione del Gran Premio di Montecarlo, svoltasi nel 1929, ma niente più. Chi è stato nel Principato magari ha anche visto il monumento che lo ritrae alla guida della sua vettura. Eppure, già da vivo questo personaggio era circondato da un’aura di fascino e mistero, persino tra i suoi stessi colleghi, e ha continuato a far discutere anche da morto.

La storia che state per leggere è stata messa insieme radunando le informazioni disponibili sul web (ho creato la pagina di Wikipedia rifacendomi anche ad esse). Data la sua lunghezza l’ho divisa in due capitoli, pubblicherò il secondo a breve.

William Grover nacque a Montrouge nel 1903, da una famiglia benestante. Pare che il padre Frederick fosse amico del principe Troubetzkoy, ambasciatore russo in Inghilterra, per il quale allevava cavalli. Quando questi fu trasferito all’ambasciata di Parigi, aiutò Frederick a stabilirsi anche lui in Francia, dove conobbe sua moglie.
Fin da giovanissimo, William mostrò grande passione per la meccanica e per le automobili,  al punto che imparò a guidare sulla Rolls-Royce del fidanzato di una delle sorelle e, procuratosi una motocicletta (probabilmente un residuato di guerra), iniziò a gareggiare su due ruote di nascosto dalla famiglia. Fu in questo periodo che adottò lo pseudonimo “Williams” che lo accompagnerà per tutta la vita, e che all’epoca gli serviva per barare sulla sua vera età.
Al termine della Grande Guerra, riuscì a trovare lavoro come chauffeur presso Sir Orpen, l’artista ufficiale della Conferenza di pace di Parigi. Strinse anche una grande amicizia con la sua amante Yvonne al punto che, quando la storia tra i due finì, lei e William si sposarono. Il tutto con la benedizione di Orpen, che li aiutò economicamente e regalò loro una casa e un’automobile.
Nel frattempo, William era passato dalle due alle quattro ruote, una prassi piuttosto comune all’epoca, e nel 1927 si era messo in luce lottando contro l’asso francese Robert Benoist, nonostante guidasse una vettura inferiore. L’anno successivo, comprata una Bugatti di seconda mano, riuscì a vincere il Gran Premio di Francia, successo che replicò nel 1929. Nello stesso anno, come detto in precedenza, arrivò la vittoria al primo Gran Premio di Montecarlo, contro tutti i pronostici che davano favorito il campione tedesco Rudi Caracciola. Per l’occasione la sua Bugatti era dipinta in verde: tale colore avrebbe identificato da lì in avanti tutte le vetture gestite da squadre britanniche, diventando noto come “British Racing Green”.
Fu questo successo in particolare che regalò grande fama a William: lui e Yvonne erano descritti come una coppia unica nel suo genere. Erano capaci di gareggiare in auto come di ballare per tutta la notte nei club del Principato. William divenne anche un buon giocatore di tennis e golf. In tutto questo, la coppia riuscì a mantenere un’aura di mistero intorno a sé. Nessuno, nemmeno tra gli altri piloti, sapeva chi fosse esattamente William: c’era chi diceva che fosse molto ricco, altri dicevano che fosse un autista con la passione delle corse. Di certo, era il più forte tra i piloti britannici del periodo, e a Montecarlo era diventato una specie di istituzione: si narra infatti che lui e la moglie sfrecciassero a velocità folle su auto separate per le strade di Montecarlo, ma che la gendarmeria fermasse sempre e solo Yvonne. Alle sue proteste, rispondevano “Lui è Williams, non possiamo fermare Williams”.

William vinse ancora il Gran Premio del Belgio del 1931 (in coppia con il conte Caberto Conelli) e altre tre gare minori a La Baule dove abitava, poi nel 1936 decise di ritirarsi. Rimase tuttavia nel giro delle corse, divenendo amico di Robert Benoist e lavorando per la Bugatti come istruttore di guida per i nuovi clienti, mentre Yvonne allevava cani da esposizione. Un idillio che purtroppo sarebbe durato poco: il 1 settembre 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale.


CONTINUA...