sabato 26 agosto 2017

AMOR DI PALIO-parte 1

Colori, saltafossi e mercenari 

Com'è che si dice?

"Non cercare di spiegare il computer ad un profano, è come cercare di spiegare il sesso ad una vergine"

In altre parole: è difficile spiegare un mondo intero a chi non l'ha mai vissuto in prima persona. Se ci provi rischi, nella migliore delle ipotesi, di sembrare un po' matto, un po' fissato. Succede spesso, specialmente se il mondo in questione è un po' particolare...come ad esempio quello del Palio.

Già, il Palio. Nello specifico, quello di Asti.

Io l'ho vissuto in prima persona per 11 anni questo folle, colorato, meraviglioso mondo. Una bella fetta di vita da cui ho ricevuto tantissimo, e a cui ho cercato di dare il mio contributo, in base alle mie capacità. Inutile parlare dei motivi per cui ho smesso, non è questa la sede per farlo...anche se i colori che ho portato per tanto tempo campeggiano tuttora sul mio profilo Facebook.

I colori. QUEI colori, che se fai Palio seriamente, sono vincolanti quanto un matrimonio o una pronuncia definitiva dei voti religiosi. Certo, puoi uscirne in qualsiasi momento, come ho fatto io, e tanti altri prima e dopo di me, ma guai a saltare il fosso ed andare a lavorare, come se niente fosse, sotto la bandiera di un altro concorrente al Palio; e chi cerca ed accetta i saltafosso, paliescamente parlando, è come se andasse in un qualsiasi viottolo a contrattare un po' di amore mercenario, mentre moglie e figli lo aspettano a casa.

Chiamatemi estremista, integralista, fissato, quello che volete. Può darsi che abbiate ragione, ma se sono giunto a pensarla così, è solo perché io per primo ho commesso l'errore di cui sopra: non ho saltato il fosso, quello mai nella vita, ma ho accettato di buon grado l'aiuto di persone che avevano prima cambiato una o più bandiere. Con quasi tutti (e sottolineo il QUASI, perché mi sono rimaste anche sincere amicizie), ho finito per scontrarmi, anche duramente, con la conseguenza che il lavoro svolto insieme è stato messo a durissima prova, e molti rapporti personali si sono rotti. 

Mi si dirà "Se uno fa Palio per passione, può anche andare altrove". Si certo, come Bocca di Rosa: anche lei lo faceva per passione, De André insegna.

Battute a parte, il senso del discorso è questo: uno dei motivi per cui il Palio di Asti fatica a crescere, o lo fa più lentamente di altre manifestazioni analoghe, è proprio la fatica ad accettare l'importanza del senso di appartenenza, di attaccamento alla propria bandiera: un valore che va insegnato da piccoli, da grandi è più difficile da recepire, e spesso ci si sente autorizzati a cambiare colori come un qualsiasi calciatore quando cambia squadra. Cambiare colori, al limite, può essere tollerato in giovanissima età, quando la personalità è ancora in fase di definizione, e magari si va in un dato rione perché ci va l'amico/amica del cuore. Oltre è molto meno accettabile, se si ragiona in una logica strettamente paliofila.

Al Palio, gli unici mercenari ad avere diritto di cittadinanza sono i fantini. Loro sì, lo fanno di professione, esattamente come le signorine che aspettano il loro cliente lungo la strada. Fa parte del gioco: il fantino esegue gli ordini di chi lo paga di più...e talvolta non si tratta del rione di cui porta i colori in quel momento. Se i suoi interessi personali coincidono con quelli di chi lo ha ingaggiato, bene. Diversamente...se è capitato in un rione o una contrada munita di borghigiani particolarmente nerboruti e irascibili, farà bene a scappare di corsa col suo portafoglio pieno.


Particolare di un'incisione del XVIII secolo, raffigurante un momento della corsa del Palio. Sullo sfondo, si riconosce il "Pilone" che contrassegna il punto di partenza (tuttora esistente in Corso Alessandria, all'altezza del passaggio a livello). In primo piano sono ritratti i fantini Antonio Ranco detto Tognino (21 vittorie accertate al Palio di Asti) e Giovanni Bodone detto Balino (8), autentiche leggende viventi dell'epoca.

Scandalo, diranno i profani, corruzione dilagante, che vergogna, è antisportivo, diseducativo...eccetera eccetera eccetera.

Chi dice questo però trascura un dettaglio fondamentale: il Palio NON è uno sport, e nemmeno pretende di esserlo. Tutti coloro che vi prendono parte lo sanno: il Palio è una GUERRA per la supremazia cittadina. Simulata, metaforica, ma sempre guerra è. Certo, non bisogna assolutamente confonderlo con la corrida, lo scopo non è certo la morte dei cavalli, anzi!! Si sono fatti nel tempo, e si faranno, enormi passi avanti in termini di sicurezza e salute animale, tuttavia, se vi aspettate di vedere uno spettacolo sportivo, avete proprio sbagliato indirizzo. 

A questo proposito, molti "esterni" al Palio paragonano i borghigiani ai tifosi sportivi: niente di più sbagliato, la differenza tra le due categorie è enorme. Il comune tifoso compra gadget, fa abbonamenti allo stadio, intona cori, segue la squadra in trasferta quando se lo può permettere; il borghigiano "tipo" suona, sbandiera, allena, tiene pulita la sede del Comitato, cuce vestiti, allestisce tavoli, dà una mano a fare qualsiasi lavoro... 

Il tifoso segue la squadra (facendosi anche un mazzo non indifferente, intendiamoci), il borghigiano VIVE il Palio, e vivere il Palio significa essere parte di un'immensa storia che va avanti da secoli, e in cui si ha l'onore di poterne scrivere personalmente qualche riga con il proprio lavoro. Eccola, la grande differenza che spesso sfugge ai profani.

Certo, in entrambi i casi c'è grande passione, ma espressa in modo diverso. Nel caso del Palio, questa passione a volte degenera...ma questo ve lo racconterò nel prossimo capitolo.

CONTINUA...(clicca qui per leggere la seconda parte)

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